Der Theologe Valentino Debiasi will mit einer ausführlichen Beschreibung seiner Handlungen im Jahr 1848 seine loyale Haltung gegenüber Österreich beweisen. Er hatte sich vor kurzen um eine vakante Stelle an der theologischen Fakultät der Universität Padua beworben, musste allerdings feststellen, dass er bei der Besetzung der Stelle nicht in Betracht gezogen worden war. Debiasi vermutet daher, dass man ihn nicht berücksichtigte, weil einige öffentliche Äußerungen während des Jahres 1848 an seiner politischen Haltung zweifeln ließen. Außerdem vermutet Debiasi, dass italienische Nationalisten falsche Anschuldigungen gegen ihn vorgebracht hätten, aus Rache für seine loyale Haltung gegenüber dem Kaiser. Er versucht in der Folge die Zweifel an seiner politischen Aufrichtigkeit zu zerstreuen, indem er ausführlich seinen Lebenslauf darlegt und seine öffentlichen Äußerungen in den Jahren 1848 und 1849 erklärt. Er hofft, dass dann das Urteil der Obrigkeit gegen ihn revidiert werde. Debiasi hatte zunächst Theologie in Trient studiert, war aber nach Ausbruch der Revolution zu seiner Familie nach Ala zurückgekehrt. Er betont, dass seine Familie und er stets in Treue zur kaiserlichen Familie standen und er und seine Brüder treue Diener des Staates seien. Er schildert daraufhin verschiedene Ereignisse aus dem Jahr 1848, bei denen er seine Treue zum Kaiserhaus bewiesen hatte. Er gesteht aber auch ein, dass er öffentlich die Unabhängigkeit des italienischsprachigen Teils von Tirol vom deutschsprachigen Tirol gefordert hatte – allerdings ausschließlich in Fragen der Verwaltung und der Rechtssprechung. Er betont jedoch, dass er die Zugehörigkeit zum Deutschen Bund einem Anschluss an eine italienische Föderation stets vorgezogen hatte. Alle diese Äußerungen erfolgten jedoch öffentlich und er betont, dass er sich nicht wie andere heimlich oder anonym zu politischen Fragen geäußert hatte. Außerdem hatte er öffentlich gegen die Einführung der Glaubensfreiheit in Tirol, wie sie Giovanni a Prato, gefordert hatte, gesprochen. Um dies zu beweisen, legte er mehrere Zeitungsartikel bei, die entweder er selbst geschrieben hat oder die auf seine Artikel Bezug nehmen.
Italienisch.
Dem Brief sind insgesamt vier Anlagen
beigelegt:1
Zeitungsartikel von
Valentino Debiasi, 8. Mai 1848. Messaggere Tirolese di Roveredo,
Nr. 38/1848.
Zeitungsartikel von
Valentino Debiasi, 13. Juni 1848. Messaggere Tirolese di
Roveredo, Nr. 52/1848.
Zeitungsartikel von Valentino Debiasi, 29. November 1848.
Messaggere Tirolese di Roveredo, Nr. 127/1848.
Ausschnitt aus einem Zeitungsartikel von
Valentino Debiasi, 15. Januar 1849. Messaggere Tirolese di
Roveredo, Nr. 10/1849.
All’ Eccelso
Imperial Regio
Ministro del Culto
e della
Pubblica
Istruzione
ora in
Trento
Esposizione del
Prof. Dr. Debiasi
Valentino
Eccellenza
Imperial Regio Ministro del Culto e della Pubblica Istruzione
Allora quando nel prossimo passato dicembre 1853 si pubblicarono le nomine
sovrane alle cattedre teologiche di Dogmatica e di Pastorale fino allora vacanti
presso l’Imperial Regia università di
Padova, il sottoscritto, che vi era concorso, non ritrovandosi da
quelle favorito, restò naturalmente amareggiato, e desideroso di conoscerne la
vera cagione per sua ulterior norma.
Considerando poi in seguito, che questa
non poteva essere stata la di lui inferiorità agli altri competitori in punto
religioso-morale-scientifico dal momento, che gli Allegati, e gli Elaborati per
ambedue le suindicate cattedre da lui prodotti lasciavano fondato motivo per
credere, che egli sarebbe riuscito negli anzidetti riguardi superiore agli
altri, egli dovette attribuire la causa dell’esito sfavorevole ad una qualche
eventuale inferiorità politica in lui ritrovata, per la quale i superiori lo
avessero sorpassato. Essendo per questo egli moralmente abbattuto, temendo da
una parte di essere la vittima di qualche calunnia, e ritrovando in se stesso la
coscienza di essere stato, anche nei momenti i più burrascosi, divotamente
attaccato alla sacra causa del suo Sovrano, e della Augusta Regnante Famiglia,
senza della quale egli giammai avrebbe osato di concorrere per un posto di
avvanzamento, era ansioso di terminare il corso scolastico per trasferirsi nella
capitale, e orizontarsi sulle sue circostanze. Prima però ancora, che arrivasse
questo momento, piacque alle Provvidenza di accertarlo sui fatti suoi col far
sì, che per grazia segnalatissima della Eccellenza Vostra egli venisse netto a
sapere, che fu sorpassato nella collazione dei posti sopraindicati, come
sospetto in politica e creduto pericoloso per la italiana gioventù in base a
sentimenti da lui esternati nel 1848 e pubblicati colla Gazzetta di
Roveredo.
Ma poi essendo che tutto quello, che il medesimo ha detto, e fatto
nel 1848 a riguardo del pubblico, e che colla stampa fu reso noto, ritrae il
vero spirito, ed il genuino senso dell’autore da circostanze nei fogli mancanti,
o svisate, così approfittando dell’alto favore della Eccellenza Vostra egli al
presente osa, e si permette di umiliare ai Vostri piedi la seguente Esposizione,
la quale coordinando storicamente tutti gli anzi detti suoi passi, indicandone
l’occasione, e producendo le circostanze sarà la chiave, che serve a mettere al
giorno la pura verità in tutto quello, che lo riguarda.
Sospeso il corso delle pubbliche lezioni anche nel seminario Principesco Vescovile di
qui per ordine superiore, circa i 22 di Marzo 1848, in forza dei rivoluzionari
tumulti, che già col giorno 19 del detto mese erano scoppiati, desideroso di
allontanarsi da una città nella quale un partito rivoluzionario imponente
metteva in timore, ed allarme ogni pacifico cittadino, il sottoscritto chiese,
ed ottenne dal Principe Vescovo
la facoltà di trasferirsi a Ala di Trento presso della
famiglia dei poveri vecchi suoi genitori; onde ivi assieme con essi, e cogli
altri suoi fratelli godere meglio la quiete dell’animo, che altrove dai malevoli
veniva pur troppo turbata.
In questa famiglia egli di continuo senza
interruzione si trattenne fino al momento, che il suo Principe Vescovo di nuovo lo richiamò a
Trento al suo posto.
La detta famiglia in tutto e per tutto fu sempre
pacifica, avversa notoriamente a ogni mena rivoluzionaria, affezionata
all’autorità e ospitale a seconda delle sue deboli forze verso quei nostri
soldati, che e sgraziatamente di là passavano rovinati dai ribelli d’Italia, o
ivi aquartierati si ritrovavano. Anzi a prova delle politica fede della medesima
potrebbe bastare il sapere, che un fratello del sottoscritto, il quale con lui
nella stessa viveva, quantunque giovane assai, perché solo in quell’anno compiva
a Innsbruck gli studi legali, fu poi giudicato degno di essere mandato nel
Veneto aggiunto Pretore in Agordo, dove si trova tutt’ora.
Il sottosegnato
in questa famiglia esemplare visse isolato da ogni mena, da ogni intrigo, e da
ogni compagno, assistendo nella cura d’anime, ed occupandosi privatamente. Non
per tanto bisogna notare, che arrivato presso i suoi genitori egli intese, che
persone malevole lo tacciavano quale spia di Governo, riproducendo così una
imputazione, che aveva avuto la sua origine a Trento, dove si era basata sopra i
principali dati seguenti.
1. Perché egli era sempre vissuto attendendo ai
fatti suoi, lontano da ogni individuo, e da ogni società per qualsiasi riguardo
pericolosa, e sospetta; e perché nelle dottrine christiane, che in quell’anno
per ordine del Principe Vescovo
era stato incaricato di tenere pubblicamente nella Chiesa del Seminario più
volte avuta occasione condannò lo spirito di insubordinazione che nella società
svillupavasi.
2. Perché con decreto della Imperial Regia Commissione Aulica per
gli studi 27. Febbraio anno corrente 1848 N. 1580 gli fu accordata
per servizi gratuiti di undici anni una piccola rimunerazione.
3. Perché sul
finire del mese medesimo essendosi di notte tempo praticata a
Trento nella Contrada degli Orbi una perturbazione
della pubblica quiete da una squadra di studenti baldanzosi reduci dalla chiusa
Università di Padova, e questa a
danno della innocua famiglia della Illustrissima Signora Contessa Regina Ciurletti presso della quale in
quell’anno il sottoscritto si ritrovava di abitazione, e non essendo intervenuta
la polizia a rimediarvi, egli occultamente portò denunzia alla politica autorità
competente: circostanza che fu poi palesata.
4. Perché ai 20 Marzo detto
anno essendo stato incaricato superiormente di cooperare al mantenimento del
pubblico ordine, egli coll’appoggio di un buon numero di chierici teologhi, che
lo seguirono, trattenendosi sull’ingresso dell’Imperial Regio Uffizio della
Finanza per tre continue ore colle sue parole, e col suo consiglio, testimonio
il pubblico, dissuase, e rese impotenti gli sforzi di una turba di operanti ivi
ammassata, la quale volendo approfittare della mancanza della pubblica forza, ed
istigata visibilmente da malevoli agitatori, voleva insultare ed abbattere lo
stemma Imperiale, ed introdursi dentro del luogo.
Queste erano le ragioni
per cui il sottosegnato anche in Ala dal Partito degli
inimici era segnato vittima della futura vendetta.
Intanto pubblicatasi la
apertura della novella Dieta di Francoforte si deviò l’attenzione, e si mise in
campo la questione; se il Tirolo Italiano, che
doveva però sempre restare soggetto all’Austria, tornasse più utile di essere collegato colla Confederazione Germanica; oppure colla
Confederazione Italica, che si diceva di stabilire fra l’Austria, e i vari altri Stati Italiani. Disgusti
sussistenti fra il Tirolo Italiano , e Tedesco per
circostanze anteriori, congiunti alle leggi allora vigenti fecero sì, che la
questione con favore pro, e contra venisse trattata fra tutti gli ordini di
persone, che la loro opinione pubblicamente esprimevano, e diffendevano, col di
più che qualificavasi nemico della patria ognuno, che avesse schivato di
esternarsi in proposito.
Allora il sottoscritto, obbligato a parlare, per
non incorrere nella peggio, posto in un luogo dove generale era il parere di
preferire la Confederazione Italica alla Germanica, per schermirsi contro ogni
taccia, abbagliato dalle apparenze, ammise, e pubblicò anche egli la sua
opinione, che poi spedì per vie meglio assicurare la sua persona alla Redazione
del Messaggere di Roveredo, acciò di esso egli facesse quell’uso, che avrebbe
giudicato essere il più opportuno.
Per assicurare però doverosamente i suoi
superiori intorno ai suoi sentimenti verso lo stato scrisse contemporaneamente
al detto parere una lettera al Principesco Vescovile Ordinariato di Trento,
colla quale manifestava se stesso, e la sua intatta fede politica.
Piacque
al Redattore della Gazzetta di Roveredo inserire l’articolo sopra accennato nella medesima al N. 38 anno 1848, e questo, qui
allegato sub A, contiene in se stesso non equivocamente i sentimenti
politici dell’autore a riguardo del suo Sovrano, e della santa causa, che dai
ribelli era allora costretto di combattere; poscia che ivi il sottoscritto non
una volta, ma più condanna la ribellione, e professa il suo attaccamento al
Regnante.
Nel seguito un Anonimo da Innsbruck diede
fuori un articolo col quale egli senza distinguere fra buoni, e cattivi, fra
ingannati e maliziosi, fra fedeli e sleali, accusava tutti quanti i Tirolesi
Italiani, come altre tanti ribelli. A questa offesa, che egli, attaccatissimo al
suo Sovrano, e pronto a dimostrarlo con ogni sacrifizio di se medesimo, sapeva
di non meritarsi, si risentì profondamente, e rispose coll’Articolo qui annesso ad B, inserito nel Foglio anzidetto al N. 52 anno
1848. L’autore anche in questo ribattute le incriminazioni
dell’avversario, disapprova, e ritorna a condannare ogni sorta di ribellione,
eccita all’ubbidienza, e non dissimula di asserire, che il Sovrano era stato in
quella ribellione d’allora tradito.
Per altro la causa del Tirolo Italiano,
che erroneamente si credeva un affare di mero interesse locale, venne aggravata
dal partito ribelle, che scorgendola in qualche modo utile anche a se stesso, si
era disposto a incalzarla.
Allora non solo il sottosegnato, ma anche tutti i
buoni Tirolesi Italiani, che erano nel massimo numero, e che col trattare la
causa patria non volevano seguire i ribelli, cambiata opinione, e riconosciute
le conseguenze funeste allo stesso Tirolo, se esso
venisse separato dalla Confederazione
Germanica, credettero che sarebbe in vece una fortuna per esso, se
restasse colla Germania, e col Tirolo
Tedesco nel suo statu quo di unità provinciale, e conseguisse in vece una
amministrazione, e rappresentanza propria sul fare della amministrazione
giustiziaria, che in promessa già allora era assicurata a Trento con un Senato. Così pensavano tutti quanti i
bene intenzionati, e cosi opinava anche il sottosegnato, astenendosi però questa
volta dal far sentir la sua voce; perché le circostanze, che lo avevano
impegnato la prima volta ora non erano così imponenti.
Col ottobre arrivò in
tanto il momento in cui il sottosegnato fu superiormente chiamato da
Ala a Trento per le primiere sue
occupazioni.
Passato a Trento egli, come
al suo solito, non tenendo amistà, ed intrigo con nessuno, visse attendendo a se
stesso e ai suoi studi, senza intriccarsi degli affari, che dagli altri con
chiasso si dibattevano.
Quando scorso un mese in circa egli venne a sapere,
che per impulso, e sotto la immediata direzione del Giudice, e Podestà locali,
anche in Ala sua patria si era eretto un Comitato
municipale sussidiario alla rappresentanza communale per bene del luogo, che più
di ogni altro nella economica amministrazione abbisognava di essere assistito, e
riformato. Presidente ne era il Podestà, il quale unito col Giudice obbligò ad
assumere la Vice-Presidenza il nobile Sig. Don Francesco de Pizzini di
Hohenbrun, uomo esemplare, benemerito, e fedele sotto ogni
rapporto, che per ragioni di inesperienza, e di Stato (egli era sacerdote) non
voleva adattarsi. All’autorità però dovette cedere, e lo fece sopra tutto al
riflesso, che fino a tanto egli sarebbe stato Vice-Presidente di quella civica
unione nissuno avrebbe osato giammai di proporre, o far cosa contraria
all’ordine, al buon costume, e alle leggi.
Ma non ostante che una tale
istituzione fosse agli occhi di tutti quelli di Ala la
più legale, e conforme alla volontà superiore, confermata dal Giudice, e
Podestà, che la fondarono, non ostante che nissun passo venisse in quella
eseguito contro il dovere dei buoni sudditi, e dei cittadini, essa durò pochi
giorni. Una turma di gente corrottissima per ogni sregolatezza fu da zelanti per
interessi di propria borsa seddotta, e assoldata ad irrompere dentro del luogo,
dove tenevasi il Comitato in sessione, e quivi con bastoni inalzati
bullescamente minacciando, bestemmiando, e ripetendo le parole suggerite dai
sedduttori disperse quella pacifica unione, che opponendo all’atto rivoltoso, e
criminale un miracolo di prudenza senza ostarsi si ritirò per non riunirsi mai
più.
Gli autori dell’amutinamento ebbero il premio, ed il fatto, che pel
carattere immorale, e rivoltoso avrebbesi dovuto sepelire col silenzio, fu
pubblicato per opera di rapporti esistenti fra i promotori della iniquità in
Ala commessa, ed altri individui, che si trovavano a
Innsbruck. Peggio poi fu, che con scandalo, e
meraviglia di tutti i buoni la cosa fu riferita dal Messaggere Tirolese Tedesco
del tutto svisata; per modo che secondo il Tiroler Both gli autori della
soluzione del Comitato di Ala erano stati i buoni campagniuoli, ed i membri di
quello, che appunto in quell’anno essendo stati vicinissimi al teatro della
guerra, avevano dato le più belle prove di fedeltà, di sacrifizi, di
attaccamento, e di amore pel suo sovrano, apparivano come altre tanti
rivoluzionari.
È indicibile quanto il cuore del sottoscritto per puro amor
patrio in questo incontro soffrisse. Per la qual cosa trovandosi egli:
1.
Esacerbato dalla immoralità a quell’avvenimento congiunta:
2. Inasprito,
perché sapeva con sicurezza, che gli organizzatori, e suscitatori del medesimo
erano parte dei membri della rappresentanza communale mossi da un interesse di
egoismo; anzi perché sapeva altresì, che gli stessi erano stati quelli che nel
marzo anteriore avevano suscitato nel modo medesimo anche in
Ala un tumulto rivoluzionario specialmente contro
della Imperial Regia Finanza:
3. Amareggiato dagli affronti in
quell’incontro praticati verso quel buon sacerdote Vice Presidente, che solo per
ubbidire ai superiori si ritrovava nel Comitato, contro suo genio:
4.
Pregato istantemente a nome dell’amor patrio, e a pubblico disinganno di volere
smentire la notizia data dal Tiroler Both intorno a quel fatto, che a torto
screditava la fedelissima, e pacifica città di
Ala:
In forza di tante ragioni il sottoscritto
scrisse una species facti, che poi spedì al Redattore della Gazzetta di
Roveredo, acciò la opponesse al Tiroler Both. L’autore infrascritto in questo
articolo oppone al falso la verità, e poi vi fa le osservazioni, l’ultima dalle
quali specialmente si riferisce ai promotori dell’eccesso avvenuto in
Ala, e a quelli di Innsbruck,
che erano stati correi coi medesimi. Siccome i capi degli agitatori di
Ala si immedesimavano nel Tiroler Both colla autorità
superiore per arrivare coll’augusto manto della medesima a coprire se stessi; e
siccome quelli di Innsbruck, che non essi erano
intriccati, reagivano acciò non fosse accordato superiormente al Tirolo Italiano
la supplicata separazione giustiziaria, amministrativa, e rappresentativa,
lasciando però intatta la unità di Provincia: Fu per questo, che il sottoscritto
sul finire del suindicato suo Articolo distinse la causa sacra della Autorità
superiore, da quella relativa alla rappresentanza communale di
Ala, che cotanto erasi demeritata; fu per questo che
condannando egli le ribellioni però per sentimenti di umanità e natural simpatia
ivi compianse i flagelli dalla rivoluzione tirati sopra l’Italia; fu per questo che egli ripetendo la opinione nel Tirolo
Italiano dominante intorno alle separazione amministrativa, e rappresentativa
dal Tirolo Tedesco, sfogò il suo parere.
Veemente è in vero lo sfogo, ma gli
affetti, che in uno furono in lui risvegliati dal concorso di tante iniquità in
un sol fatto, erano pure veementissimi.
Non per tanto anche in esso l’autore
non resta di far conoscere la fede politica, che al suo Sovrano lo teneva sempre
congiunto.
L’articolo al Redattore spedito comparve
qual supplemento al N. 127 anno 1848 nella Gazzetta Roveretana, e qui si
allega ad C.
Farà sorpresa, e nascere dubbi il frontispizio del
medesimo, quasi che l’autore fosse in relazione col Comitato, ad istanza del
quale l’articolo fu pubblicato. Ma la sorpresa sarà tosto tolta, i dubbi
cesseranno per le circostanze, che in questa esposizione ora
seguono.
Successe ai 28. di novembre anno 1848, che il sottoscritto, uscendo
dal Seminario, dove era stato a fare lezione, intorno alle 10 antimeridiane, si
incontrò per strada con Monsignor Canonico
Pompeati Vice-Direttore della Teologia, e che quest’ultimo lo
invitò ad accompagnarlo fino al Casino di lettura. Strada facendo il Signor Vice-Direttore narrò, che là,
dove egli andava, in quella mattina vi doveva essere una bellissima cosa da
vedere; perché i Signori Podestà di
Roveredo , e di Trento, i Signori Rappresentanti dei diversi communi del
Trentino dovevano tenere una pubblica sessione assieme con alcuni Deputati
ritornati dalla Dieta di Vienna, i quali ultimi avrebbero narrate le cose da
essi passate; e poi soggiunse, che sarebbe in vero vergognosissimo, se anche io
(sottosegnato) non andassi a vedere.
Vinto per ciò dall’autorità della
persona, e dalla curiosità della cosa il sottosegnato azzardò di accompagnare il
suo superiore fino sulla soglia della sala destinata a sessione, lasciando poi
inoltralo solo più a dentro.
Ivi sulla soglia d’ingresso egli restossi
isolato dagli altri, osservatore delle cose, che si facevano, e in piedi per vie
meglio sentire e vedere.
Diverse parlate furono fatte dai Deputati di
Vienna, terminate le quali i due Presidenti, Secretari ecc. soggiunsero altre
osservazioni di vario argomento, in capo alle quali, rivolta la parola ad
invitare fra gli spettatori, che erano ivi affollati, coloro che avessero voluto
dire qualche cosa, vi furono diversi, che si alzarono per dire chi una cosa, chi
l’altra. Nissuno fra tanti avea parlato degli abusi di stampa allora
strabocchevoli, per cui il sottosegnato credette ben fatto di chiedere anche lui
la parola per dire: che in stampa vi erano abusi degni della più alta
considerazione, poiché tante cose, che si dovevano tacere, venivano pubblicate,
e tante altre degne della pubblicità, erano in vece soppresse, e siccome gli
cadeva in proposito di confermare la sua osservazione col caso poco avanti
successo a riguardo di Ala, egli si permise di raccontarlo, e di aggiungervi,
che il Redattore di Roveredo non avea ancora stampata la smentita, che si
meritava il Tiroler Both e che egli avea spedito già da alcuni giorni coll'Articolo sopra citato ad C.
La osservazione
fu approvata, e la Presidenza di quei Comitati uniti si assunse l’incarico di
far stampare quanto prima il detto Articolo sulla Roveretana Gazzetta.
Ecco
il perché il Redattore ha posto in fronte del detto pezzo la eccitazione del
Comitato di Trento, col quale il sottosegnato non aveva a far niente.
Scorsi
poscia alquanti istanti in quella sessione, a cui fra gli spettatori più lontani
egli curiosando assistiva, vi fu un Parroco ivi rappresentante, che parlò sulla
libertà del culto, e fece intendere, che si avrebbero dovuto espellere a forza
dal Tirolo tutti i dissidenti dai
cattolici:
Dopo di lui si alzò un altro sacerdote, che opponendosi
intieramente al suddetto Parroco approvò i principi dell’Abate Prato sulla intiera libertà di
religione e di culto, e si sforzò di diffenderli.
Scandalizzato il
sottosegnato da questi due estremi, l’uno dei quali si oppone del tutto alla
carità, ed alle leggi di tolleranza, l’altro è pericolosissimo alla società, ed
alla religione cattolica, chiese ancora una volta la parola, e per medicare il
male di ambedue le false opinioni sopraindicate senza urtare a dirittura di
cozzo soggiunse, che egli in vece credeva essere meglio, che, abbandonate tali
quistioni, il clero curato attendesse alla istruzione del suo popolo con giusti
principi; poiché una tale istruzione egli la ritiene liberale abbastanza per
insegnare a tutti il modo di contenersi verso del prossimo. Detto questo senza
altro attendere, per non trovarsi di nuovo indotto dagli spropositi, che avea
sentito, a prendere la parola, e a parlare là in pubblico, egli si dipartì, ne
più si curò del resto, che ivi fu detto, e fu fatto, ne si curò poi dell’uso,
che altri avrebbero potuto fare delle di lui parole.
Qualunque possa essere
però stato quest’uso, egli è certo, che il sottoscritto ne più ne meno ha detto
colà solo per caso le suaccennate parole colla mira di eseguire un dovere, che
accidentalmente egli ivi incontrava.
Per dare però una prova ancora più
sicura dei sui sentimenti il sottosegnato qui si permette di osservare altresì,
che egli in punto di libertà di religione e di culto era fermamente attaccato
allo statu quo nel Tirolo, e si era colla sua firma
unito alla società cattolica fondatasi a Innsbruck sotto gli auspici del Signor
Conte Wolkenstein Preside
delle Dieta Provinciale, e del Signor Probst Consigliere di Governo ecc. onde non si introducesse in
questa provincia la piena libertà religiosa, che Prato, ed altri alla Dieta avevano
proposta; ed in quanto ai principi politico-sociali che si riferiscono al potere
dei regnanti, egli ha sempre professato quelli, che ai detti liberali si
oppongono, e che occasionalmente anche avanti pochi mesi ha professato nel
pubblico, come potrà vedersi specialmente dall’allegato D.2 a pag. 11 e seguenti, che egli qui si azzarda
produrre.
Ritornando poi per dar termine alle sgraziate faccende del 1848,
successe, che l’articolo C. sopra allegato, alle
persone di Ala, che erano ree, rincrebbe assai; per cui
servendosi del carattere di rappresentanti communali, come lo erano, diedero
fuori una protesta, che realmente in sé conteneva anche una calunnia.
Allora il sottoscritto, che era tacciato dalla medesima volle dignitosamente
finirla per sempre nel modo seguente:
1. Riferì al Imperial Regio Capitano
di Roveredo allora Signor Conte
Marzani in via di lettera la storia genuina delle cose successe
in Ala, acciò che egli, come autorità politica
competente, ne facesse quell’uso, che avrebbe creduto; e
2. Fece pubblicare
nella Gazzetta privilegiata di Roveredo una semplicissima
osservazione, che comparve poi al N. 10 anno 1849, e qui si allega sub
E.
Così ebbe fine, e per sempre ogni diatriba di interessi
locali, che pregiudicando al buon ordine, e alla morale indussero il
sottoscritto per un momento di generale aberrazione a far sentire la sua
voce.
Per la qual cosa tutti i passi del sottosegnato nel 1848 in punto
politico si riducono nella sostanza ai seguenti:
1. Egli costantemente fu
geloso di conservare inviolabile l’attaccamento al suo Sovrano, e all’Augusta
Casa Regnante, comprovandolo in ogni occasione colle parole, e coi fatti.
2.
Egli subordinatamente a questo principio ha fatto sentir la sua voce nel
pubblico cinque volte astretto da circostanze imperiose: cioè
La prima volta
[probabilmente qui manca un “in”] rapporto al nesso politico del Tirolo Italiano
colla Confederazione Germanica per far
conoscere la sua opinione in un tempo, che astenendosene egli si vedeva fra i
suoi mal sicuro, e che essa era già dominante, e pria di lui da altri
pubblicata, e sostenuta.
La seconda volta per ribattere una taccia, che
immeritamente da un Anonimo di Innsbruck era stata
scagliata anche contro quei Tirolesi Italiani, che, quantunque circondati dai
mal intenzionati, però erano leali, e devoti sudditi di Sua Maestà
La terza volta a pubblico
disinganno sulla sua patria natale, la quale dopo essere stata iniquamente
macchiata da un atto di carattere rivoluzionario, veniva poi anche per mene
occulte denigrata immeritamente dal Tiroler Both d’Innsbruck.
La quarta per
reprimere abusi di stampa troppo licenziosa, e per correggere opinioni
pericolose da altri azzardate.
La quinta per appoggiare la verità di tutto
quello, che egli avea scritto a riguardo di certi rappresentanti communali di
Ala, colla offerta delle prove legali all’uopo
occorrenti:
3. Tutte le volte non solo colle parole, ma anche coi fatti,
mostrò inviolabile la sua subordinazione all’autorità costituita, e alle leggi
allora vigenti:
4. Egli ha sempre agito da per sé solo, isolato, e
indipendente da ogni persona, o società pericolosa e sospetta, e ciò colla
persuasione di promuovere doverosamente, e vie più risvegliare in quel modo fra
i Tirolesi Italiani l’attaccamento secolare, e immanchevole verso l’augusta Casa
Regnante e l’adorato Sovrano, e nel tempo stesso il bene della sua
patria.
Se egli si è ingannato, non lo fu per malizia, od infedeltà, ma fu
per sbaglio nel giudicare la circostanze.
Se il suo scrivere fu talvolta
appassionato, lo fu perché somma era la esacerbazione in lui risvegliata dai
fatti di quelle persone, che essendo ribelli in occulto, si spacciavano in
pubblico, e furono credute suddite affezionate.
Laonde non ignora il
sottosegnato la difficoltà, che egli incontra nel far cambiare una opinione
sopra di lui una volta dai suoi superiori abbracciata; ma sa egli altresì, che
la forza della verità, riscontrandosi nella Eccellenza Vostra protetta dalla
giustizia, dalla sapienza, e dalla bontà, potrà al certo effettuarlo. Per questo
egli confida di conseguire ancora la benevolenza, e protezione altissima dei
suoi Superiori, e quantunque le conseguenze passate non possano venire più
riparate, però almeno si ripromette la grazia per l’avvenire, e non troppo
tardo; perché a Trento non può ritrovarsi più tanto bene.
Colla Venerazione
la più profonda, e colla attestazione della sudditanza la più perfetta resta
dell’Imperial Regia
Eccellenza Vostra
Umilissimo, obbligatissimo e addettissimo
Suddito e schiavo
Dr. Debiasi
Valentino
Prof. dell’Antico Testamento
Trento il 24 Giugno 1854
Allegato I A.
No 38. anno 1848
Messaggere Tirolese di Roveredo
Opinione sul nesso sociale, che più conviene al Tirolo Italiano, e sul mezzo di ottenerne il conseguimento.
Sta per aprirsi in Francoforte la gran
Dieta per procurare tutto lo sviluppo possibile all’unità, libertà, e forza
della Confederazione Germanica, che
per avvenimenti strepitosissimi ancor si risveglia, e stanno per comparire
nelle medesima anche i Rappresentanti del nostro Tirolo, stante che in forza dei vecchi patti, e antichi
sociali trattati egli pure è a quella aggregato. Quei patti per altro si
possono mutare, o sciogliere, come lo furono in parte per nuovi trattati, i
quali cambiarono molte cose. Che se nacque in passato in quei patti una
mutazione, questa può, anzi dee rinnovarsi nei tempi presenti, nei quali
nuovi bisogni spingono l’umanità al nazionale affratellamento. Questa è la
tendenza, che anima gagliardamente il tedesco, e che possiede altresì
l’italiano. Questa tendenza io la sento potente in me stesso per modo, che
volendo il miglior bene alle mia patria, ed avendo dovere di promuoverlo
quanto posso, animato dallo stesso amatissimo nostro Sovrano, che a tale
scopo appunto concesse ai sudditi la libertà della parola, ed incoraggiato
dall’esempio, azzardo proporre in pubblico una radicale domanda seguita dal
mio parere nei termini, che qui soggiungo.
Devono i rappresentanti del
Tirolo Italiano ammettere in quell’Assemblea lo statu quo dell’antico patto
territoriale, reclamando ivi diritti, e vantaggi, riservandosi ad ottener
poi dal Sovrano speciali governative modificazioni?
Oppure non sarà
meglio, e non dovranno essi là domandare e far sì, che il Tirolo Italiano
venga separato dalla Confederazione
Germanica e incorporato all’Italica?
Io penso che il solo
caso di una civile, regolare, pacifica, novella incorporazione torni, più
che è possibile, in meglio dei reali bisogni, e giusti desideri dei Tirolesi
Italiani; e che questo caso quindi da essi a preferenza dell’altro deve
cercarsi. Per ciò nell’unica vista di essere utile coll'estendermi
sull’opinione riscontrerò in via di esempio certi bisogni, e desideri, che
realmente accompagnano la nostra patria, per poi vedere in qual nesso essi
vengano per nostro meglio esauriti; dove ed in qual nesso essi debbano
ricercarsi.
Il Tirolo Italiano, come ogni altra individuale, o morale
persona, ha bisogni, e desideri particolari. È un fatto riconosciuto, e
proclamato le tante volte, che esso trovasi per esempio in necessità di
ritirare d'Italia il frumento, ed il grano turco, del quale estremamente
egli manca; mentre in vece egli somministra in gran parte legna, seta, e
vino per una notabile esportazione. Esso ne’ suoi individui abbisogna di una
educazione italiana di lingua, di idee, e di abitudini nei vari rami delle
sociali occorrenze per corrispondere alla famiglia italiana, che abbraccia:
Egli per applicare, e perfezionare possibilmente la propria vita civile con
italiani elementi ha d’uopo di una sfera italiana più estesa di quella gli è
offerta nella Confederazione
Germanica. Egli altresì, come credo, brama a ragione di essere
congiunto con una più grande italiana famiglia per più riunirsi alle madre,
a cui per natura appartiene. Ma in tutto questo il nostro Tirolo dalla Confederazione Germanica non viene, e non può venir
soddisfatto così, così garantito, come congiunto col paese d’Italia. Di
fatto l’italiano Tirolo può avere il più facile, il più sicuro, il più
abbondante corso di grani di prima necessità solo dal nesso d’Italia; con
esso solo può sfogare alla meglio la propria legna, né credo fallare
giudicando, che per fino le nostre sete vellutate o in natura, in qual nesso
civile troverebbero il più commune torna a conto senza discapito verso della
Germania, la quale stante il bisogno, la qualità, ed in parte la vicinanza
eserciterebbe in quelle le sue mercantili speculazioni. Così sul vino poco,
o nulla si perderebbe; mentre ognuno sa, che, non ostante la nostra civile
confratellanza germana, fin qui il nostro vino dal lato tedesco non ebbe
sfogo, e l’uso della birra dai tedeschi a noi trapassato, imbarazzò e
ritardò di quello lo smaltimento. Che se anche all’estremo, cosa che è
ancora incerta, sulla seta, o sul vino vi fosse qualche discapito, io
ritengo, che doganali combinazioni terrebbero aperta la strada ai vini, ed
alle sete verso chi ne abbisogna; e rimarco, che il supposto scapito nei
detti articoli sarebbe assai più parziale, e leggero, che non il danno
emergente dalle granaglie nel caso opposto; perché questo esclusivamente
graviterebbe sulle misere masse degli operanti, e dei poveri. Ma
oltrepassiamo una volta i riflessi della domestica economia, più del giusto
per lo più calcolati; eleviamoci a sentimenti più degni, e più nobili;
ricordiamoci, che per vivere, come dobbiamo, ci occorre non solo cibo, e
bevanda, come alle bestie, man altresì educazione, ed azion
nazionale.
Questa è civile politica, o moral religiosa. Della seconda
non parlo; perché qui sostegno solo la parte di politico osservatore, e mi
contento dire, che ella sarebbe a preferenza promossa trovandoci noi
congiunti in lega sociale col centro della Cattolicità. Solo in quanto
all’altra io dico, che collo stabilirsi per noi italiani un nesso d’unione
coll’Italia, quella sarebbe nella sua essenza, e nel suo sviluppo
soddisfatta, e garantita in tutta la sua estensione; cosa impossibile
nell’attuale nostro nesso sociale germanico.
Di fatto noi italiani posti
nel naturale diritto di una italiana educazione, ad azione corrispondente
per soddisfare compiutamente al nostro bisogno, e desiderio dobbiamo sortire
dalla germanica confederata nostra patria, e passare a mendicar dalla
austriaca Italia gl’Istituti, e la sfera italiana d’attività, che ci
abbisogna. Ma questa Italia nostra madre per dono di natura, non nostra per
altri patti sociali, fin qui fu a noi ospitaliera cittadina solo per
accidente; perché è un accidente, che l’augusto amato Sovrano voglia tenere
in sé concentrata l’autorità sul Tirolo, e sul
Regno Lombardo-Veneto. Che se in forza di sovrane concessioni e di nazionali
avvenimenti questa autorità venisse a separarsi per modo, che il Tirolo
restasse ad uno, e l’Italia ad un altro, io
tengo fermo, che noi diventando da questo istante tanti civili di Lei
forestieri a poco a poco succederebbe, che i nostri interessi fisici,
intellettuali, e morali s’avvierebbero al precipizio; che in quello stato
solo pochi speculatori, o contrabandieri guadagnerebbero nella borsa, mentre
tutti scapiterebbero nei bisogni i più nobili, e la più parte perderebbe
altresì nel materiale interesse: Io penso, che in questo stato di cose, lo
stesso Augusto nostro Regnante, a cui desidero la più fiorente prosperità,
studiosissimo dal nostro bene farebbe sì, che noi venissimo formalmente
regalati di quella patria, di quella nazionalità a cui apparteniamo, ed
avessimo in una parola anche in questo una prova dell’amor, che ci porta. Oh
allora sì, che i nostri interessi prosperati di molto, per qualche altra
piccola, o istantanea perdita eventuale ad usura sarebbero indennizzati in
ispecialmodo coll’articolo dei tabacchi: Allora sì, che molti, i quali al
presente più non paventano, che la lor borsa, rivolgerebbero a noi la
faccia. Pur non ostante se questa unione da noi creduta la più conveniente,
non è riputata cosí da tanti altri compatriotti lo sia di pace; ma siami al
meno concesso di dire, e di sostenere, che per un'italiana famiglia,
italiana deve esser la patria, e che per averla non c’è altro mezzo che
reclamarla a dovere.
Comunque poi sien per succedere le cose, il
compimento dei nostri voti, la soddisfazione dei nostri bisogni assai
dipende dalla causa che i nostri rappresentanti tratteranno per noi, e dal
modo col quale la agiteranno. In ogni modo sono persuaso, che tutto verrà a
noi concesso, se i mandatori della patria saranno di scelta libera davanti
alle leggi, ed al fatto, se essi franchi di persuasione agiteranno la
ragione della sociale famiglia dalla quale, e per la quale sono mandati; se
posponendo privati parziali interessi al maggiore commune vantaggio essi
coopereranno alla meglio per la santa causa, che vanno a trattare: Che se al
contrario i Rappresentanti delle sezioni patriottiche non fossero altro che
risultato dell’ambizione, o del raggiro, se alcun tra questi fosse mosso
dall’utopia e lungi da vestire il carattere di apostolo della patria non
fosse, che una larva del pubblico bene, uno schiavo dei pregiudizi, e delle
passioni, egli incorrerebbe nel pubblico biasimo, sarebbe macchiato dal
commun vitupero, né godrebbe a diritto dell’alto onore di cui la patria e lo
Stato lo hanno rivestito; perché avrebbe operato da parricida.
Ala di Trento. 8. Maggio 1848.
Debiasi Valentino.
Allegato II B.
No 52. anno 1848
Messaggere Tirolese di Roveredo
“Libera corse una offesa, e libera deve essere la difesa”
Nell’articolo anonimo del Foglio N. 47 in questa Gazzetta scagliossi in mezzo
ad una serie di inconcludenti osservazioni senza distinzione una gravissima
pubblica ingiuria contro gli italiani comprovinciali del mezzodì, così che
non deve tacersi da chiunque sa poterla affrontare. Conscio io quindi dei
miei pensieri, e dei fatti miei prendo la penna contro l’autore dell’accusa
per far discorrere così una difesa, come precorse l’offesa.
L’autore
dell’accusa è ignoto della persona, è un X, sconosciuto, misterioso
individuo, che con licenza della mia lingua chiamerò Innominato.
Quest’Innominato, che parla dalla città provinciale, deve essere autorevol
persona, che si dà il peso del Noi; e può sembrare qualche provinciale
deputato, giacché invita a sé i suoi deputati colleghi. Chiunque egli sia io
non mi curo, che delle ragioni; ed è per questo che scrivo, per dimostrare
pubblicamente come l’Innominato sproposita, ed insolentisce.
Gli
spropositi dell’Innominato s’incontrano specialmente nelle osservazioni, che
emette intorno all’organismo, all’origine, ed al riparto dei voti
dell’Assemblea provinciale, ed in una tal quale giaculatoria, che qua e là
va proponendo.
Egli vuol dire, che la detta Assemblea è irreprensibile,
come conforme al modello d’Inghilterra, e
delle Provincie vicine; come pattuita, e non ribattuta dalla Costituzione; e
poi perché varia col darsi più tono. Tutto questo io dico, che l’Innominato
non lo asserisce con proposito, e bene; imperciocché restano contro di Lui
tutte le cose, che qui soggiungo.
Primieramente ammesso anche, che gli
Stati sono distinti nelle Assemblee d’Inghilterra, e delle Provincie tedesche, che sono le vicine,
ne viene poi per questo, che l’Inghilterra
sia vero modello di libertà, come egli dice? Che essa colle vicine provincie
debba essere la nostra norma? Oppure essendo vero, che tutto il buono non è
in Inghilterra, nella Stiria, nella Baviera, e così via; perché più o meno ce ne è da per tutto
anche nei siti fra i detti estremi, non potevasi forse per fare cosa
irreprensibile da vero sfiorare per tutto? Non c’era altresì la ragione di
fare questo nella diversità delle circostanze in cui trovarsi la Provincia?
Essa, che ha in sé due nazionalità diverse per tanti rapporti può
abbisognare di altre cose.
Secondariamente che sia pattuita quella
identica immembratura dell’Assemblea provinciale dalla Costituzione non è
vero per niente; giacché nissun paragrafo della Carta costituzionale esige,
che l’Assemblea provinciale compongasi di quattro Caste o Stati: anzi
confrontati i paragrafi 35, 36, 54 della suddetta Carta si riconosce, che la
struttura dell’Assemblea provinciale è rigettata dallo spirito della
Costituzione; mentre quella compone Assemblee scompartite per quattro Caste,
questa dà all’Impero Assemblee di persone scelte indipendentemente dalle
dette Caste.
In terzo luogo la varietà diletta bensì, ma non è sempre
utile, né necessaria; come forse può essere nel caso nostro, e meno poi qui
si richiedeva per formare un'autorità più rispettabile, un più augusto
Palladio. L’autorità delle Assemblee la più reverenda, la loro più veneranda
maestà ed importanza sta più nelle confidenza, nella legge, nel senno, nelle
ragione; di quello sia nell’abito, nelle condizione, o nel sangue.
In
seguito il nostro Innominato parlando dell’origine dell’Assemblea
provinciale dice espressamente, che nel comporre il regolamento un solo
italiano fu consultato. Ora sia questo accaduto per motivi di agitazione,
sia per urgenza di tempo, o per altra causa, basta così per poter dire, che
là gli italiani non vi concorsero debitamente; basta così per dire, che
quell’organismo nella sua origine è arbitrario, e dispotico a scapito degli
italiani, e ciò massimamente, se il solo consultato italiano non fosse del
tutto in buon concetto degli italiani.
Discorrendo poi del riparto dei
voti l’Innominato, ammesse osservazioni inesatte, fatte incerte
supposizioni, e spacciate idee composte a modo suo, tira la conseguenza, che
gli Italiani sono in errore. In tanto qui il suo errore lo fa anche lui
certamente; perché con dati di quella natura non potea trarne una
conseguenza sicura. Essendo poi fuori del mio proposito il rivelare errori
dall’altra parte, dovrei così passar via, se non mi scampasse occasione di
reclamare riforma nei voti del clero. Di fatti a questo stato nella
votazione tra noi furono messi i soli dignitari, e curati, esclusi i
chierici, i preti semplici, i professori, i graduati, e così via; quasi che
il solo clero dignitario, e curato avesse il monopolio della virtù, il
monopolio della scienza, il monopolio della franchezza evangelica, il
monopolio della apostolica libertà, l’ecclesiastico monopolio del bene, e
del male. Questo è male; perché l'escludere un cittadino di classe da un
dovere, e da un diritto è sempre un tratto infamante. Questo qui io lo ho
osservato non per me, che se si vuole vi rinunzio in ogni forma di foro, e
per sempre, ma per altri buoni, e bravi consarcerdoti.
Or passo a
considerare la specie di giaculatoria dell’Innominato, qual’ella vi è, di
dolori, di lamenti, e di ammonizioni.
Se egli si duole per una
separazione eventuale di una secolare nostra unità con quelli che la
provincia manda a difendere i suoi confini, egli falla di distinzione fra
unità, ed unità; e se egli si duole, che ciò si faccia in tempo tale, egli
falla per indiscrezione. La nostra unità di Provincia in Tirolo è secolare in quanto alle statistica, in quanto al
nesso colla Confederazione
germanica, in quanto alle Maestà degli Imperatori
Romani-Germanici, e Austriaci; ma non è secolare in quanto
all’amministrazione, e al governo. Ognuno sa, che non occorrono secoli per
ritrovare, che nel Trentino regnavano, e governavano i
Principi-Vescovi, e nei Vicariati i Castelbarco; ed ognun sa che anche da
mezzo secolo in qua ebbe il Tirolo italiano una sorte separata da quella del
Tirolo tedesco. Che poi si pretenda, che noi siamo inerti, o rinunciamo ai
nostri diritti, e ai benefizi della legge, mentre i tedeschi vengono a
difendere i loro confini è una indiscrezione, una ingiustizia, un sacrilegio
patriottico.
Fu riso, poiché quelli che dissero; adesso noi non abbiam
tempo di passare [sic! richtig 'pensare'] all’Assemblea provinciale, ebbero
tempo da concertare il passo legale per avere una separazione. Il riso a dir
vero mi sembra del tutto ridicolo, perché non ha causa.
Per esservi
bisognerebbe provare, che chi non ha tempo da effettuare un semplice fatto,
non ne dovesse avere neanche per un fatto composto, ed invillupatissimo,
come è il caso nostro. Quando l’Innominato con lamento sarcastico prova, che
col presente nesso la nazionalità italiana acquistò a danno della tedesca,
adducendo che l’italiana lingua si dilatò, e la tedesca si restrinse, egli
crede e vuol provare; ma non prova niente. Egli confonde l’idea di lingua
con quella di nazionalità contro lo stabilito della Carta Costituzionale §4:
Egli vorrebbe far credere, che col diffondersi ad altri una lingua, guadagna
la lingua stessa, e la nazionalità; che la diffusione di nostra lingua
avvenne per nostro bene, e pel nesso di unità provinciale. Ma tutto questo è
falso; perché la nostra lingua si guadagna amici da sé, e se gli ha
guadagnati con danno di se stessa, di interessi, e di nazionalità.
Dove
poi l’Innominato ci ammonisce di non illuderci, e di stare al vecchio, egli
ci suppone in un errore essenziale dal quale cerca cavarci colle ragioni
eterne di confini, di prodotti, di industria, e di commercio. Suppone il
falso, e ci mette avanti motivi, che non ci possono far preferire l’unione
alla disunione. I nostri motivi, le ragioni dei nostri passi, non sono
illusorie; sono reali, sono ben ponderate, e come io ho già detto altra
volta (vedi articolo N.38. Allegato A), sono
assai più di quei dati, che l’Innominato ci mette in vista.
Per la qual
cagione si vede, che l’Innominato sbagliò per dritto, e per storto; sbagliò
con imprudenza quando disse: Voi, o Italiani, seguiste l’arbitrio, mentre
l’altra parte ha per sé la legge, e il diritto: Voi volete mascherare la
vostra ribellione (egli lo disse col fatto, che è più della parola) ad ogni
costo, e ad onta di tutti i diritti.
Potea mai pensarsi, che un
grand'uomo, come egli sembra, arrivasse a parlare così senza distinzione fra
persona, e persona?
Senza ragioni? E questo nell’atto che scriveva per
conciliare? Potea mai darsi, che i buoni italiani, consci di sé, e dei lor
fatti tacessero a tanta infamia? No, non potea; perché all’infamia nissun
onesto si abitua, od è indifferente. Un buon italiano, che ama, ed obbedisce
il sovrano, che approfitta di auguste grazie per esternare regolarmente i
suoi voti, per appoggiare i suoi diritti, per provvedere al bene della sua
nazionalità garantita non è ribelle, ma è fedelissimo suddito.
Egli, che
di nazione è italiano, sente i doveri di sua nazionalità; e cerca di
soddisfarli regolarmente. Chi è straniero e tali sentimenti è un mostro di
sua nazione; come è ribelle chi per essi sacrifica l’ordine. L’ordine
combinato coi nazionali garantiti diritti, è l’unica via delle pubblica
pace, e prosperità; l’ordine indipendente dalla nazionalità sarà sempre la
fonte di terribili ravvolgimenti. La storia vicina parla chiaro abbastanza:
la mezza Luna dovette spezzar la spada a favore della nazionalità della
Grecia; la nazionalità non fu
spenta dalle turme russo-siberiche nella Polonia; fu per tempo sopita, non tolta, dal federale grande
scomparto nella Germania; trionfò
sempre nelle Francia di tutte le
combinazioni dei regnati; e in Italia? In
Italia al presente per essa scorrono
torrenti di sangue umano, che la lavano, e la cruentano. Questa nazionalità,
che è un idea, qualunque ella sia, è grandiosissima; sempre durevole colle
generazioni, che la propagano; incatenata, non vinta, ella sempre risorgerà;
perché non tocca dal ferro, ed è invincibile: cadranno le moltitudini,
scannerannosi i popoli; ed Ella sempre sarà. Grande lezione per chi
consiglia, grande lezione per che obbedisce, grande lezione per chi comanda.
Con questa lezione io ho voluto finire il mio articolo; acciocché anche voi,
Signor Innominato, coll’autorità che vi circonda fate sì, che si acceleri la
pace dei poveri sudditi, e del Monarca tradito, il trionfo dei regnanti, e
delle nazioni.
Ala di Trento ai 13 Giugno 1848
Dottor Debiasi
Allegato III. C.
Supplemento al N. 127 del Messaggero Tirolese dei 23. dicembre 1848
Polemica
Eccitati replicatamente dal lodevole Comitato Municipale di
Trento pubblichiamo il seguente Articolo a pubblico disinganno contro
l’organo del messaggere Tirolese Tedesco denigratore patriottico.
L’intention de ne jamais tromper, nous expose souvent à être trompés.
Rochefoucauld,
Maxime n. 118
Vecchia come il diavolo, sempre nuova come la peste, negli uomini di mala
fede è l’arte di ingannare i galant’uomini col riprodurre cose svisate a
danno ora del privato, or del pubblico, e ora della nazione col favor del
mistero. Quest’arte però, benché infiniforme, macchinata all’oscuro, ed
intrecciata nell’ombra viene talvolta attivata nel giorno, che colla luce
della verità, come Diogene colla
lanterna, la insegue, la cerca, e la coglie per addittarla qual mostro ella
si è, sconcio, stomacchevole, indegno, pestilenziale, che colla sua piva
soffia il veleno nel germe di ogni bell’opera.
Due fatti recenti,
imprudentemente dissoterrati da altri, dannoci saggio novello degli inganni
degli inimici di patria, e degli sforzi de’ nostri malevoli, che come altre
tanti Filistei del Testamento Novello non cessan d’imprimere se potessero,
le vecchie punte, e stringere le ferree catene a torno di noi, che pur non
siamo, non vogliamo, non sogniamo di essere altre tanti Sansoni.
Questi
fatti, che io a patrio disinganno con amarezza pari al provato sdegno
ricordo, avvennero contro d’un Comitato patrio municipale; l’uno in Ala
italiana, l’altro nell’organo del Messaggere Tirolese tedesco.
Avvenuto nel patrio Comitato di Ala.
Sul
principiare del mese spirante in Ala mia patria
natale nelle stanze col consenso, e coll’intervento dei principali del
Magistrato adunossi gran quantità dei più leali cittadini di ogni classe per
fare le iniziative alla istituzione di un Comitato patriottico.
L’istituzione autorizzavasi dalla promessa sovrana d’associazione,
dall’esempio delle vicine anziane città sorelle, dall’approvazione, e dal
voto dei cittadini dabbene, e dal bisogno là stringentissimo d’un
istituzione sui più vitali cittadini interessi, d’un interprete idoneo di
tanti voti, e di tante bisogna. Le iniziative furono felicissime a segno,
che il progetto ebbe in breve la vita con un Comitato i di cui membri
rispettabilissimi erano preseduti dal Podestà. Quel Comitato con una vita di
tanto augurio si avviò con tanta unità, drittura ed energia, che fan
meraviglia.
Quando per mene diaboliche nella sessione del giorno decimo
terzo del mese che va, iniquamente, e per mano di una turma insolente quel
saluberrimo patrio istituto ebbe nel seno inestata la morte. Quella sessione
era priva del Podestà presidente, e si impiegava nella lettura del suo
organico regolamento. Tra tanto una squadra della infima plebe di fronte
alla sede, e abitazione giudiziale, sotto del luogo della sessione, ebbe
l’agio di raccogliersi, e fra le fischia, e le grida: “abbasso il Comitato,
viva il Magistrato” colà si andava agitando senza di più cimentare.
A
calmare l’agitazione concorse l’opera del Signor Giudice, ma questa non
sostenuta da alcuna cooperazione, impotente all’affetto patteggiò, dirò
così, di far scogliere quel Comitato. Indi portatosi il giudice al luogo
della sessione, ed esposto il caso che vi era di fuori, si meraviglia di
trovare chi là siedeva tranquilli, si protesta insufficiente a difenderli, e
gli rimette a loro stessi. Questi che in diritto, ed in pace erano raccolti
a pubblico bene concertano una deliberazione: Ma in tanto una mano di
malfattori dei più notorii si stacca dagli altri, e da padrona brutale va
con minaccia ad intimare a quel Comitato “sortano i Giacobini, fuori le
chieriche, via i forestieri, su il magistrato vecchio”. L'irruzione è
violenta, la offesa pubblica, e immeritata, il delitto parlante; Eppure quel
Comitato con un miracolo di prudenza si sperse senza parola. Così fu sciolta
quella sessione; scioglimento forse troppo increscevole ai malvagi, che non
pescarono di torbido; scioglimento di poi incoronato da quei tristi campioni
con grida, fracassi, avvinazzamenti, ed insulti impuniti.
Dopo due
giorni fu tenuta sessione sopra il da farsi: In essa, chi è saldo nei suoi
diritti, domanda, che informati i due comitati anziani fratelli di Roveredo,
e di Trento l’accusa si passi all’autorità competente; chi zelante d’amor di
patria ammette un conciliatorio ripiego; chi di paura tremante vuol che il
fatto si seppelisca. Così ivi successe, ed il Comitato si sciolse lasciando
i nomi, e gli atti a quel magistrato, come una prova non peritura, che
l’ottimo a quello era congiunto.
Avvenuto nel Comitato di Ala secondo l’organo del
Messaggere Tirolese tedesco.
L’intenzione annessa alla morte del
Comitato di Ala fu tradita, la sepoltura fu aperta,
ed il becchino, che trasse fuori con chiave falsa il cadavere fu il
Messaggere tirolese tedesco. Egli nel N. 161 strombetta così:
“Secondo
notizia privata la unione dei cittadini di Ala, così
detta Comitato di sicurezza, che s’era formata sul modello di Trento e di Roveredo ai quattordici di questo mese sarebbe stata
sciolta dagli abitanti di campagna con bastonate dei membri, mentre, come
quelli dicevano, essi non vogliono saper niente degli sconvolgimenti degli
italiani, sono contenti della loro autorità, e non desiderano altri
signori”.
Osservazioni in Confronto.
Chiunque ha senso commune già a primo colpo
rileva gli spropositi d’imprudenza, di critica, di verità dell’organo del
Messaggere tirolese tedesco. Non di meno io commento menzognere, e
calunniatrici specialmente tre circostanze:
1. L’organo del Messaggere
Tirolese tedesco mentisce, e calunnia notificando, che il Comitato di
Ala era Comitato di sicurezza. Quel Comitato era
patrio municipale, che titolavasi così volendo adoprarsi nel prevenire gli
inganni, e nel discutere i bisogni locali di patria, essendosi al Municipio
ordinato per ben del commune. Che se il Messaggere gli dà quel titolo per
alludere ad altri odiosi, ostili, armati Comitati di luoghi lontani io
protesto la cosa come sacrilegio politico della mia patria: Questa ebbe il
suo Comitato; ma non aveva, ne aver mai si sognava armi od armati; lo ebbe
essa, ma non fu stupida, od arrogante cotanto da assumere un titolo così
fuor di proposito, essa che col suo Comitato metteva tutta la sua sicurezza
nella volontà, e nella forza del suo Sovrano.
2. L’organo del Messaggere
Tirolese tedesco mentisce, e calunnia, che gli abitanti della campagna
furono gli scioglitori di quel comitato con bastonate. Ala nella campagna ha
pochissimi abitanti, che nella massa come tutti gli altri cittadini dabbene,
ad onta degli emissari non presero parte attiva in quel motto. Il motto fu
maneggiato da un cinquantina di gente da bosco, e da campo, screditate
persone, nella condotta, e nel carattere viziosamente macchiate; questa
turba con minaccie, e non bastonate ebbe il voluto scioglimento.
3.
L’organo del Messaggere Tirolese tedesco mentisce, e calunnia col riferire,
che gli abitanti della campagna di Ala non vogliono
saper niente delle italiane mutazioni, sono contenti delle loro autorità, e
non bramano altri signori. Questi abitanti con tutta la massa dei cittadini
dabbene di quel commune in questo riguardo non parlano così. Dichiarati mai
sempre per la loro Dinastia regnante nel resto emisero sentimenti diversi:
essi non furono, né sono indifferenti, o contrari alle mutazioni italiane,
ma furono e sono afflitti profondamente per natural simpatia dalle disgrazie
de' loro fratelli: Essi come tutti gli altri vicini benedirono sempre il
momento in cui poterono reclamare interiori riforme; essi liberi nella voce
dichiararono nel loro Municipio abbisognare radicali riforme, ed attendere
un amore patriottico meno velato, un più deciso privato disinteresse. Tale è
la verità delle cose, e così parla, chi non vuol ingannare.
Ora giudichi
ognuno se le idee i pensieri, i sentimenti, gli affetti della mia terra
natale non sieno conformi a quelli dei circostanti fratelli, benché con
questi non possano comparire, strangolati trovandosi da un oscurantismo a me
noto: ora chi ha senno decida, se alla mia patria si può intaccare quella
mostruosità nazionale, che il Messaggere Tirolese tedesco vorrebbe
indossarle. Questo conato fu quello, che mi fece sentire un indeclinabile
dovere di reclamare l’onore della disgraziata mia patria, d’impedire che un
fatto dell’oscurantista brigante venisse posto dagli inimici sulla tela, che
intessono essi contro del Tirolo italiano. Questo dovere è compiuto; ma ad
intero coronamento dell’opera si permetta un'altra effusione al mio cuore.
Io che vidi in Ala la prima luce da genitori dei
cittadini i più antichi, che ebbi in Ala la
educazione primiera, che tengo in Ala conoscenti, amici, fratelli, una massa
di compatriotti, io in quella massa riconosco me stesso con italiano
pensare, con italiano sentire, con italiano volere, con italiano potere, con
una persona italiana, che reclama separazione, separazione, intera
separazione, incondizionata e ad ogni costo, salvi l’ordine e la dinastia,
dai Tirolesi tedeschi, che nei riguardi parlamentari ed amministrativi
abbracciare da noi si vorrebbero come vicini ed amici, non come soci, e
fratelli: separazione intera, perché essa sola può darci la vita nostra;
incondizionata, perché una condizione qualunque strangolerebbe il nostro
vitale sviluppo; ad ogni costo, perché la stessa conculcazione delle nostre
domande sarebbe poi il più eloquente reclamo delle ragioni a favor
nostro.
Dunque anche Ala è una sorella
consenziente colle sue anziane vicine; dunque partecipa anche essa, come
ella può, dei voti communi, delle commune bisogna.
Trento nel giorno 29 novembre 1848
Il Prof. Dr. Debiasi
Allegato E.
N. 10 anno 1849
Messaggere Tirolese di Roverdo3
« Il y a de faussetés, qui représentent si bien la vérité, que ce serait mal
juger, que de ne s’y pas laisser tromper»
De la Rochefoucauld,
Maxime 290.
Non bisogna giudicare senza ascoltare le parti, ne si deve lasciarsi seddurre
da fatti, che hanno delle verità la sola apparenza.
Per ciò nella
incorsa faccenda trovo ben fatto osservare:
Di quanto ho detto a
riguardo del municipio di Ala sono sempre disposto a
darne legali prove.
Trento 15. Gennaio 1849.
Prof. Dr. Debiasi Valentino