Valentino Debiasi an Leo Thun
Trient, 22. Juni 1854
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Regest

Der Theologe Valentino Debiasi will mit einer ausführlichen Beschreibung seiner Handlungen im Jahr 1848 seine loyale Haltung gegenüber Österreich beweisen. Er hatte sich vor kurzen um eine vakante Stelle an der theologischen Fakultät der Universität Padua beworben, musste allerdings feststellen, dass er bei der Besetzung der Stelle nicht in Betracht gezogen worden war. Debiasi vermutet daher, dass man ihn nicht berücksichtigte, weil einige öffentliche Äußerungen während des Jahres 1848 an seiner politischen Haltung zweifeln ließen. Außerdem vermutet Debiasi, dass italienische Nationalisten falsche Anschuldigungen gegen ihn vorgebracht hätten, aus Rache für seine loyale Haltung gegenüber dem Kaiser. Er versucht in der Folge die Zweifel an seiner politischen Aufrichtigkeit zu zerstreuen, indem er ausführlich seinen Lebenslauf darlegt und seine öffentlichen Äußerungen in den Jahren 1848 und 1849 erklärt. Er hofft, dass dann das Urteil der Obrigkeit gegen ihn revidiert werde. Debiasi hatte zunächst Theologie in Trient studiert, war aber nach Ausbruch der Revolution zu seiner Familie nach Ala zurückgekehrt. Er betont, dass seine Familie und er stets in Treue zur kaiserlichen Familie standen und er und seine Brüder treue Diener des Staates seien. Er schildert daraufhin verschiedene Ereignisse aus dem Jahr 1848, bei denen er seine Treue zum Kaiserhaus bewiesen hatte. Er gesteht aber auch ein, dass er öffentlich die Unabhängigkeit des italienischsprachigen Teils von Tirol vom deutschsprachigen Tirol gefordert hatte – allerdings ausschließlich in Fragen der Verwaltung und der Rechtssprechung. Er betont jedoch, dass er die Zugehörigkeit zum Deutschen Bund einem Anschluss an eine italienische Föderation stets vorgezogen hatte. Alle diese Äußerungen erfolgten jedoch öffentlich und er betont, dass er sich nicht wie andere heimlich oder anonym zu politischen Fragen geäußert hatte. Außerdem hatte er öffentlich gegen die Einführung der Glaubensfreiheit in Tirol, wie sie Giovanni a Prato, gefordert hatte, gesprochen. Um dies zu beweisen, legte er mehrere Zeitungsartikel bei, die entweder er selbst geschrieben hat oder die auf seine Artikel Bezug nehmen.

Anmerkungen zum Dokument

Schlagworte

Edierter Text

All’ Eccelso
Imperial Regio
Ministro del Culto
e della
Pubblica Istruzione
ora in
Trento

Esposizione del
Prof. Dr. Debiasi
Valentino

Eccellenza
Imperial Regio Ministro del Culto e della Pubblica Istruzione

Allora quando nel prossimo passato dicembre 1853 si pubblicarono le nomine sovrane alle cattedre teologiche di Dogmatica e di Pastorale fino allora vacanti presso l’Imperial Regia università di Padova, il sottoscritto, che vi era concorso, non ritrovandosi da quelle favorito, restò naturalmente amareggiato, e desideroso di conoscerne la vera cagione per sua ulterior norma.
Considerando poi in seguito, che questa non poteva essere stata la di lui inferiorità agli altri competitori in punto religioso-morale-scientifico dal momento, che gli Allegati, e gli Elaborati per ambedue le suindicate cattedre da lui prodotti lasciavano fondato motivo per credere, che egli sarebbe riuscito negli anzidetti riguardi superiore agli altri, egli dovette attribuire la causa dell’esito sfavorevole ad una qualche eventuale inferiorità politica in lui ritrovata, per la quale i superiori lo avessero sorpassato. Essendo per questo egli moralmente abbattuto, temendo da una parte di essere la vittima di qualche calunnia, e ritrovando in se stesso la coscienza di essere stato, anche nei momenti i più burrascosi, divotamente attaccato alla sacra causa del suo Sovrano, e della Augusta Regnante Famiglia, senza della quale egli giammai avrebbe osato di concorrere per un posto di avvanzamento, era ansioso di terminare il corso scolastico per trasferirsi nella capitale, e orizontarsi sulle sue circostanze. Prima però ancora, che arrivasse questo momento, piacque alle Provvidenza di accertarlo sui fatti suoi col far sì, che per grazia segnalatissima della Eccellenza Vostra egli venisse netto a sapere, che fu sorpassato nella collazione dei posti sopraindicati, come sospetto in politica e creduto pericoloso per la italiana gioventù in base a sentimenti da lui esternati nel 1848 e pubblicati colla Gazzetta di Roveredo.
Ma poi essendo che tutto quello, che il medesimo ha detto, e fatto nel 1848 a riguardo del pubblico, e che colla stampa fu reso noto, ritrae il vero spirito, ed il genuino senso dell’autore da circostanze nei fogli mancanti, o svisate, così approfittando dell’alto favore della Eccellenza Vostra egli al presente osa, e si permette di umiliare ai Vostri piedi la seguente Esposizione, la quale coordinando storicamente tutti gli anzi detti suoi passi, indicandone l’occasione, e producendo le circostanze sarà la chiave, che serve a mettere al giorno la pura verità in tutto quello, che lo riguarda.

Sospeso il corso delle pubbliche lezioni anche nel seminario Principesco Vescovile di qui per ordine superiore, circa i 22 di Marzo 1848, in forza dei rivoluzionari tumulti, che già col giorno 19 del detto mese erano scoppiati, desideroso di allontanarsi da una città nella quale un partito rivoluzionario imponente metteva in timore, ed allarme ogni pacifico cittadino, il sottoscritto chiese, ed ottenne dal Principe Vescovo la facoltà di trasferirsi a Ala di Trento presso della famiglia dei poveri vecchi suoi genitori; onde ivi assieme con essi, e cogli altri suoi fratelli godere meglio la quiete dell’animo, che altrove dai malevoli veniva pur troppo turbata.
In questa famiglia egli di continuo senza interruzione si trattenne fino al momento, che il suo Principe Vescovo di nuovo lo richiamò a Trento al suo posto.
La detta famiglia in tutto e per tutto fu sempre pacifica, avversa notoriamente a ogni mena rivoluzionaria, affezionata all’autorità e ospitale a seconda delle sue deboli forze verso quei nostri soldati, che e sgraziatamente di là passavano rovinati dai ribelli d’Italia, o ivi aquartierati si ritrovavano. Anzi a prova delle politica fede della medesima potrebbe bastare il sapere, che un fratello del sottoscritto, il quale con lui nella stessa viveva, quantunque giovane assai, perché solo in quell’anno compiva a Innsbruck gli studi legali, fu poi giudicato degno di essere mandato nel Veneto aggiunto Pretore in Agordo, dove si trova tutt’ora.
Il sottosegnato in questa famiglia esemplare visse isolato da ogni mena, da ogni intrigo, e da ogni compagno, assistendo nella cura d’anime, ed occupandosi privatamente. Non per tanto bisogna notare, che arrivato presso i suoi genitori egli intese, che persone malevole lo tacciavano quale spia di Governo, riproducendo così una imputazione, che aveva avuto la sua origine a Trento, dove si era basata sopra i principali dati seguenti.
1. Perché egli era sempre vissuto attendendo ai fatti suoi, lontano da ogni individuo, e da ogni società per qualsiasi riguardo pericolosa, e sospetta; e perché nelle dottrine christiane, che in quell’anno per ordine del Principe Vescovo era stato incaricato di tenere pubblicamente nella Chiesa del Seminario più volte avuta occasione condannò lo spirito di insubordinazione che nella società svillupavasi.
2. Perché con decreto della Imperial Regia Commissione Aulica per gli studi 27. Febbraio anno corrente 1848 N. 1580 gli fu accordata per servizi gratuiti di undici anni una piccola rimunerazione.
3. Perché sul finire del mese medesimo essendosi di notte tempo praticata a Trento nella Contrada degli Orbi una perturbazione della pubblica quiete da una squadra di studenti baldanzosi reduci dalla chiusa Università di Padova, e questa a danno della innocua famiglia della Illustrissima Signora Contessa Regina Ciurletti presso della quale in quell’anno il sottoscritto si ritrovava di abitazione, e non essendo intervenuta la polizia a rimediarvi, egli occultamente portò denunzia alla politica autorità competente: circostanza che fu poi palesata.
4. Perché ai 20 Marzo detto anno essendo stato incaricato superiormente di cooperare al mantenimento del pubblico ordine, egli coll’appoggio di un buon numero di chierici teologhi, che lo seguirono, trattenendosi sull’ingresso dell’Imperial Regio Uffizio della Finanza per tre continue ore colle sue parole, e col suo consiglio, testimonio il pubblico, dissuase, e rese impotenti gli sforzi di una turba di operanti ivi ammassata, la quale volendo approfittare della mancanza della pubblica forza, ed istigata visibilmente da malevoli agitatori, voleva insultare ed abbattere lo stemma Imperiale, ed introdursi dentro del luogo.
Queste erano le ragioni per cui il sottosegnato anche in Ala dal Partito degli inimici era segnato vittima della futura vendetta.
Intanto pubblicatasi la apertura della novella Dieta di Francoforte si deviò l’attenzione, e si mise in campo la questione; se il Tirolo Italiano, che doveva però sempre restare soggetto all’Austria, tornasse più utile di essere collegato colla Confederazione Germanica; oppure colla Confederazione Italica, che si diceva di stabilire fra l’Austria, e i vari altri Stati Italiani. Disgusti sussistenti fra il Tirolo Italiano , e Tedesco per circostanze anteriori, congiunti alle leggi allora vigenti fecero sì, che la questione con favore pro, e contra venisse trattata fra tutti gli ordini di persone, che la loro opinione pubblicamente esprimevano, e diffendevano, col di più che qualificavasi nemico della patria ognuno, che avesse schivato di esternarsi in proposito.
Allora il sottoscritto, obbligato a parlare, per non incorrere nella peggio, posto in un luogo dove generale era il parere di preferire la Confederazione Italica alla Germanica, per schermirsi contro ogni taccia, abbagliato dalle apparenze, ammise, e pubblicò anche egli la sua opinione, che poi spedì per vie meglio assicurare la sua persona alla Redazione del Messaggere di Roveredo, acciò di esso egli facesse quell’uso, che avrebbe giudicato essere il più opportuno.
Per assicurare però doverosamente i suoi superiori intorno ai suoi sentimenti verso lo stato scrisse contemporaneamente al detto parere una lettera al Principesco Vescovile Ordinariato di Trento, colla quale manifestava se stesso, e la sua intatta fede politica.
Piacque al Redattore della Gazzetta di Roveredo inserire l’articolo sopra accennato nella medesima al N. 38 anno 1848, e questo, qui allegato sub A, contiene in se stesso non equivocamente i sentimenti politici dell’autore a riguardo del suo Sovrano, e della santa causa, che dai ribelli era allora costretto di combattere; poscia che ivi il sottoscritto non una volta, ma più condanna la ribellione, e professa il suo attaccamento al Regnante.
Nel seguito un Anonimo da Innsbruck diede fuori un articolo col quale egli senza distinguere fra buoni, e cattivi, fra ingannati e maliziosi, fra fedeli e sleali, accusava tutti quanti i Tirolesi Italiani, come altre tanti ribelli. A questa offesa, che egli, attaccatissimo al suo Sovrano, e pronto a dimostrarlo con ogni sacrifizio di se medesimo, sapeva di non meritarsi, si risentì profondamente, e rispose coll’Articolo qui annesso ad B, inserito nel Foglio anzidetto al N. 52 anno 1848. L’autore anche in questo ribattute le incriminazioni dell’avversario, disapprova, e ritorna a condannare ogni sorta di ribellione, eccita all’ubbidienza, e non dissimula di asserire, che il Sovrano era stato in quella ribellione d’allora tradito.
Per altro la causa del Tirolo Italiano, che erroneamente si credeva un affare di mero interesse locale, venne aggravata dal partito ribelle, che scorgendola in qualche modo utile anche a se stesso, si era disposto a incalzarla.
Allora non solo il sottosegnato, ma anche tutti i buoni Tirolesi Italiani, che erano nel massimo numero, e che col trattare la causa patria non volevano seguire i ribelli, cambiata opinione, e riconosciute le conseguenze funeste allo stesso Tirolo, se esso venisse separato dalla Confederazione Germanica, credettero che sarebbe in vece una fortuna per esso, se restasse colla Germania, e col Tirolo Tedesco nel suo statu quo di unità provinciale, e conseguisse in vece una amministrazione, e rappresentanza propria sul fare della amministrazione giustiziaria, che in promessa già allora era assicurata a Trento con un Senato. Così pensavano tutti quanti i bene intenzionati, e cosi opinava anche il sottosegnato, astenendosi però questa volta dal far sentir la sua voce; perché le circostanze, che lo avevano impegnato la prima volta ora non erano così imponenti.
Col ottobre arrivò in tanto il momento in cui il sottosegnato fu superiormente chiamato da Ala a Trento per le primiere sue occupazioni.
Passato a Trento egli, come al suo solito, non tenendo amistà, ed intrigo con nessuno, visse attendendo a se stesso e ai suoi studi, senza intriccarsi degli affari, che dagli altri con chiasso si dibattevano.
Quando scorso un mese in circa egli venne a sapere, che per impulso, e sotto la immediata direzione del Giudice, e Podestà locali, anche in Ala sua patria si era eretto un Comitato municipale sussidiario alla rappresentanza communale per bene del luogo, che più di ogni altro nella economica amministrazione abbisognava di essere assistito, e riformato. Presidente ne era il Podestà, il quale unito col Giudice obbligò ad assumere la Vice-Presidenza il nobile Sig. Don Francesco de Pizzini di Hohenbrun, uomo esemplare, benemerito, e fedele sotto ogni rapporto, che per ragioni di inesperienza, e di Stato (egli era sacerdote) non voleva adattarsi. All’autorità però dovette cedere, e lo fece sopra tutto al riflesso, che fino a tanto egli sarebbe stato Vice-Presidente di quella civica unione nissuno avrebbe osato giammai di proporre, o far cosa contraria all’ordine, al buon costume, e alle leggi.
Ma non ostante che una tale istituzione fosse agli occhi di tutti quelli di Ala la più legale, e conforme alla volontà superiore, confermata dal Giudice, e Podestà, che la fondarono, non ostante che nissun passo venisse in quella eseguito contro il dovere dei buoni sudditi, e dei cittadini, essa durò pochi giorni. Una turma di gente corrottissima per ogni sregolatezza fu da zelanti per interessi di propria borsa seddotta, e assoldata ad irrompere dentro del luogo, dove tenevasi il Comitato in sessione, e quivi con bastoni inalzati bullescamente minacciando, bestemmiando, e ripetendo le parole suggerite dai sedduttori disperse quella pacifica unione, che opponendo all’atto rivoltoso, e criminale un miracolo di prudenza senza ostarsi si ritirò per non riunirsi mai più.
Gli autori dell’amutinamento ebbero il premio, ed il fatto, che pel carattere immorale, e rivoltoso avrebbesi dovuto sepelire col silenzio, fu pubblicato per opera di rapporti esistenti fra i promotori della iniquità in Ala commessa, ed altri individui, che si trovavano a Innsbruck. Peggio poi fu, che con scandalo, e meraviglia di tutti i buoni la cosa fu riferita dal Messaggere Tirolese Tedesco del tutto svisata; per modo che secondo il Tiroler Both gli autori della soluzione del Comitato di Ala erano stati i buoni campagniuoli, ed i membri di quello, che appunto in quell’anno essendo stati vicinissimi al teatro della guerra, avevano dato le più belle prove di fedeltà, di sacrifizi, di attaccamento, e di amore pel suo sovrano, apparivano come altre tanti rivoluzionari.
È indicibile quanto il cuore del sottoscritto per puro amor patrio in questo incontro soffrisse. Per la qual cosa trovandosi egli:
1. Esacerbato dalla immoralità a quell’avvenimento congiunta:
2. Inasprito, perché sapeva con sicurezza, che gli organizzatori, e suscitatori del medesimo erano parte dei membri della rappresentanza communale mossi da un interesse di egoismo; anzi perché sapeva altresì, che gli stessi erano stati quelli che nel marzo anteriore avevano suscitato nel modo medesimo anche in Ala un tumulto rivoluzionario specialmente contro della Imperial Regia Finanza:
3. Amareggiato dagli affronti in quell’incontro praticati verso quel buon sacerdote Vice Presidente, che solo per ubbidire ai superiori si ritrovava nel Comitato, contro suo genio:
4. Pregato istantemente a nome dell’amor patrio, e a pubblico disinganno di volere smentire la notizia data dal Tiroler Both intorno a quel fatto, che a torto screditava la fedelissima, e pacifica città di Ala:
In forza di tante ragioni il sottoscritto scrisse una species facti, che poi spedì al Redattore della Gazzetta di Roveredo, acciò la opponesse al Tiroler Both. L’autore infrascritto in questo articolo oppone al falso la verità, e poi vi fa le osservazioni, l’ultima dalle quali specialmente si riferisce ai promotori dell’eccesso avvenuto in Ala, e a quelli di Innsbruck, che erano stati correi coi medesimi. Siccome i capi degli agitatori di Ala si immedesimavano nel Tiroler Both colla autorità superiore per arrivare coll’augusto manto della medesima a coprire se stessi; e siccome quelli di Innsbruck, che non essi erano intriccati, reagivano acciò non fosse accordato superiormente al Tirolo Italiano la supplicata separazione giustiziaria, amministrativa, e rappresentativa, lasciando però intatta la unità di Provincia: Fu per questo, che il sottoscritto sul finire del suindicato suo Articolo distinse la causa sacra della Autorità superiore, da quella relativa alla rappresentanza communale di Ala, che cotanto erasi demeritata; fu per questo che condannando egli le ribellioni però per sentimenti di umanità e natural simpatia ivi compianse i flagelli dalla rivoluzione tirati sopra l’Italia; fu per questo che egli ripetendo la opinione nel Tirolo Italiano dominante intorno alle separazione amministrativa, e rappresentativa dal Tirolo Tedesco, sfogò il suo parere.
Veemente è in vero lo sfogo, ma gli affetti, che in uno furono in lui risvegliati dal concorso di tante iniquità in un sol fatto, erano pure veementissimi.
Non per tanto anche in esso l’autore non resta di far conoscere la fede politica, che al suo Sovrano lo teneva sempre congiunto.
L’articolo al Redattore spedito comparve qual supplemento al N. 127 anno 1848 nella Gazzetta Roveretana, e qui si allega ad C.
Farà sorpresa, e nascere dubbi il frontispizio del medesimo, quasi che l’autore fosse in relazione col Comitato, ad istanza del quale l’articolo fu pubblicato. Ma la sorpresa sarà tosto tolta, i dubbi cesseranno per le circostanze, che in questa esposizione ora seguono.
Successe ai 28. di novembre anno 1848, che il sottoscritto, uscendo dal Seminario, dove era stato a fare lezione, intorno alle 10 antimeridiane, si incontrò per strada con Monsignor Canonico Pompeati Vice-Direttore della Teologia, e che quest’ultimo lo invitò ad accompagnarlo fino al Casino di lettura. Strada facendo il Signor Vice-Direttore narrò, che là, dove egli andava, in quella mattina vi doveva essere una bellissima cosa da vedere; perché i Signori Podestà di Roveredo , e di Trento, i Signori Rappresentanti dei diversi communi del Trentino dovevano tenere una pubblica sessione assieme con alcuni Deputati ritornati dalla Dieta di Vienna, i quali ultimi avrebbero narrate le cose da essi passate; e poi soggiunse, che sarebbe in vero vergognosissimo, se anche io (sottosegnato) non andassi a vedere.
Vinto per ciò dall’autorità della persona, e dalla curiosità della cosa il sottosegnato azzardò di accompagnare il suo superiore fino sulla soglia della sala destinata a sessione, lasciando poi inoltralo solo più a dentro.
Ivi sulla soglia d’ingresso egli restossi isolato dagli altri, osservatore delle cose, che si facevano, e in piedi per vie meglio sentire e vedere.
Diverse parlate furono fatte dai Deputati di Vienna, terminate le quali i due Presidenti, Secretari ecc. soggiunsero altre osservazioni di vario argomento, in capo alle quali, rivolta la parola ad invitare fra gli spettatori, che erano ivi affollati, coloro che avessero voluto dire qualche cosa, vi furono diversi, che si alzarono per dire chi una cosa, chi l’altra. Nissuno fra tanti avea parlato degli abusi di stampa allora strabocchevoli, per cui il sottosegnato credette ben fatto di chiedere anche lui la parola per dire: che in stampa vi erano abusi degni della più alta considerazione, poiché tante cose, che si dovevano tacere, venivano pubblicate, e tante altre degne della pubblicità, erano in vece soppresse, e siccome gli cadeva in proposito di confermare la sua osservazione col caso poco avanti successo a riguardo di Ala, egli si permise di raccontarlo, e di aggiungervi, che il Redattore di Roveredo non avea ancora stampata la smentita, che si meritava il Tiroler Both e che egli avea spedito già da alcuni giorni coll'Articolo sopra citato ad C.
La osservazione fu approvata, e la Presidenza di quei Comitati uniti si assunse l’incarico di far stampare quanto prima il detto Articolo sulla Roveretana Gazzetta.
Ecco il perché il Redattore ha posto in fronte del detto pezzo la eccitazione del Comitato di Trento, col quale il sottosegnato non aveva a far niente.
Scorsi poscia alquanti istanti in quella sessione, a cui fra gli spettatori più lontani egli curiosando assistiva, vi fu un Parroco ivi rappresentante, che parlò sulla libertà del culto, e fece intendere, che si avrebbero dovuto espellere a forza dal Tirolo tutti i dissidenti dai cattolici:
Dopo di lui si alzò un altro sacerdote, che opponendosi intieramente al suddetto Parroco approvò i principi dell’Abate Prato sulla intiera libertà di religione e di culto, e si sforzò di diffenderli.
Scandalizzato il sottosegnato da questi due estremi, l’uno dei quali si oppone del tutto alla carità, ed alle leggi di tolleranza, l’altro è pericolosissimo alla società, ed alla religione cattolica, chiese ancora una volta la parola, e per medicare il male di ambedue le false opinioni sopraindicate senza urtare a dirittura di cozzo soggiunse, che egli in vece credeva essere meglio, che, abbandonate tali quistioni, il clero curato attendesse alla istruzione del suo popolo con giusti principi; poiché una tale istruzione egli la ritiene liberale abbastanza per insegnare a tutti il modo di contenersi verso del prossimo. Detto questo senza altro attendere, per non trovarsi di nuovo indotto dagli spropositi, che avea sentito, a prendere la parola, e a parlare là in pubblico, egli si dipartì, ne più si curò del resto, che ivi fu detto, e fu fatto, ne si curò poi dell’uso, che altri avrebbero potuto fare delle di lui parole.
Qualunque possa essere però stato quest’uso, egli è certo, che il sottoscritto ne più ne meno ha detto colà solo per caso le suaccennate parole colla mira di eseguire un dovere, che accidentalmente egli ivi incontrava.
Per dare però una prova ancora più sicura dei sui sentimenti il sottosegnato qui si permette di osservare altresì, che egli in punto di libertà di religione e di culto era fermamente attaccato allo statu quo nel Tirolo, e si era colla sua firma unito alla società cattolica fondatasi a Innsbruck sotto gli auspici del Signor Conte Wolkenstein Preside delle Dieta Provinciale, e del Signor Probst Consigliere di Governo ecc. onde non si introducesse in questa provincia la piena libertà religiosa, che Prato, ed altri alla Dieta avevano proposta; ed in quanto ai principi politico-sociali che si riferiscono al potere dei regnanti, egli ha sempre professato quelli, che ai detti liberali si oppongono, e che occasionalmente anche avanti pochi mesi ha professato nel pubblico, come potrà vedersi specialmente dall’allegato D.2 a pag. 11 e seguenti, che egli qui si azzarda produrre.
Ritornando poi per dar termine alle sgraziate faccende del 1848, successe, che l’articolo C. sopra allegato, alle persone di Ala, che erano ree, rincrebbe assai; per cui servendosi del carattere di rappresentanti communali, come lo erano, diedero fuori una protesta, che realmente in sé conteneva anche una calunnia.
Allora il sottoscritto, che era tacciato dalla medesima volle dignitosamente finirla per sempre nel modo seguente:
1. Riferì al Imperial Regio Capitano di Roveredo allora Signor Conte Marzani in via di lettera la storia genuina delle cose successe in Ala, acciò che egli, come autorità politica competente, ne facesse quell’uso, che avrebbe creduto; e
2. Fece pubblicare nella Gazzetta privilegiata di Roveredo una semplicissima osservazione, che comparve poi al N. 10 anno 1849, e qui si allega sub E.
Così ebbe fine, e per sempre ogni diatriba di interessi locali, che pregiudicando al buon ordine, e alla morale indussero il sottoscritto per un momento di generale aberrazione a far sentire la sua voce.
Per la qual cosa tutti i passi del sottosegnato nel 1848 in punto politico si riducono nella sostanza ai seguenti:
1. Egli costantemente fu geloso di conservare inviolabile l’attaccamento al suo Sovrano, e all’Augusta Casa Regnante, comprovandolo in ogni occasione colle parole, e coi fatti.
2. Egli subordinatamente a questo principio ha fatto sentir la sua voce nel pubblico cinque volte astretto da circostanze imperiose: cioè
La prima volta [probabilmente qui manca un “in”] rapporto al nesso politico del Tirolo Italiano colla Confederazione Germanica per far conoscere la sua opinione in un tempo, che astenendosene egli si vedeva fra i suoi mal sicuro, e che essa era già dominante, e pria di lui da altri pubblicata, e sostenuta.
La seconda volta per ribattere una taccia, che immeritamente da un Anonimo di Innsbruck era stata scagliata anche contro quei Tirolesi Italiani, che, quantunque circondati dai mal intenzionati, però erano leali, e devoti sudditi di Sua Maestà
La terza volta a pubblico disinganno sulla sua patria natale, la quale dopo essere stata iniquamente macchiata da un atto di carattere rivoluzionario, veniva poi anche per mene occulte denigrata immeritamente dal Tiroler Both d’Innsbruck.
La quarta per reprimere abusi di stampa troppo licenziosa, e per correggere opinioni pericolose da altri azzardate.
La quinta per appoggiare la verità di tutto quello, che egli avea scritto a riguardo di certi rappresentanti communali di Ala, colla offerta delle prove legali all’uopo occorrenti:
3. Tutte le volte non solo colle parole, ma anche coi fatti, mostrò inviolabile la sua subordinazione all’autorità costituita, e alle leggi allora vigenti:
4. Egli ha sempre agito da per sé solo, isolato, e indipendente da ogni persona, o società pericolosa e sospetta, e ciò colla persuasione di promuovere doverosamente, e vie più risvegliare in quel modo fra i Tirolesi Italiani l’attaccamento secolare, e immanchevole verso l’augusta Casa Regnante e l’adorato Sovrano, e nel tempo stesso il bene della sua patria.
Se egli si è ingannato, non lo fu per malizia, od infedeltà, ma fu per sbaglio nel giudicare la circostanze.
Se il suo scrivere fu talvolta appassionato, lo fu perché somma era la esacerbazione in lui risvegliata dai fatti di quelle persone, che essendo ribelli in occulto, si spacciavano in pubblico, e furono credute suddite affezionate.
Laonde non ignora il sottosegnato la difficoltà, che egli incontra nel far cambiare una opinione sopra di lui una volta dai suoi superiori abbracciata; ma sa egli altresì, che la forza della verità, riscontrandosi nella Eccellenza Vostra protetta dalla giustizia, dalla sapienza, e dalla bontà, potrà al certo effettuarlo. Per questo egli confida di conseguire ancora la benevolenza, e protezione altissima dei suoi Superiori, e quantunque le conseguenze passate non possano venire più riparate, però almeno si ripromette la grazia per l’avvenire, e non troppo tardo; perché a Trento non può ritrovarsi più tanto bene.
Colla Venerazione la più profonda, e colla attestazione della sudditanza la più perfetta resta dell’Imperial Regia
Eccellenza Vostra

Umilissimo, obbligatissimo e addettissimo
Suddito e schiavo
Dr. Debiasi Valentino
Prof. dell’Antico Testamento

Trento il 24 Giugno 1854

Allegato I A.

No 38. anno 1848
Messaggere Tirolese di Roveredo

Opinione sul nesso sociale, che più conviene al Tirolo Italiano, e sul mezzo di ottenerne il conseguimento.

Sta per aprirsi in Francoforte la gran Dieta per procurare tutto lo sviluppo possibile all’unità, libertà, e forza della Confederazione Germanica, che per avvenimenti strepitosissimi ancor si risveglia, e stanno per comparire nelle medesima anche i Rappresentanti del nostro Tirolo, stante che in forza dei vecchi patti, e antichi sociali trattati egli pure è a quella aggregato. Quei patti per altro si possono mutare, o sciogliere, come lo furono in parte per nuovi trattati, i quali cambiarono molte cose. Che se nacque in passato in quei patti una mutazione, questa può, anzi dee rinnovarsi nei tempi presenti, nei quali nuovi bisogni spingono l’umanità al nazionale affratellamento. Questa è la tendenza, che anima gagliardamente il tedesco, e che possiede altresì l’italiano. Questa tendenza io la sento potente in me stesso per modo, che volendo il miglior bene alle mia patria, ed avendo dovere di promuoverlo quanto posso, animato dallo stesso amatissimo nostro Sovrano, che a tale scopo appunto concesse ai sudditi la libertà della parola, ed incoraggiato dall’esempio, azzardo proporre in pubblico una radicale domanda seguita dal mio parere nei termini, che qui soggiungo.
Devono i rappresentanti del Tirolo Italiano ammettere in quell’Assemblea lo statu quo dell’antico patto territoriale, reclamando ivi diritti, e vantaggi, riservandosi ad ottener poi dal Sovrano speciali governative modificazioni?
Oppure non sarà meglio, e non dovranno essi là domandare e far sì, che il Tirolo Italiano venga separato dalla Confederazione Germanica e incorporato all’Italica?
Io penso che il solo caso di una civile, regolare, pacifica, novella incorporazione torni, più che è possibile, in meglio dei reali bisogni, e giusti desideri dei Tirolesi Italiani; e che questo caso quindi da essi a preferenza dell’altro deve cercarsi. Per ciò nell’unica vista di essere utile coll'estendermi sull’opinione riscontrerò in via di esempio certi bisogni, e desideri, che realmente accompagnano la nostra patria, per poi vedere in qual nesso essi vengano per nostro meglio esauriti; dove ed in qual nesso essi debbano ricercarsi.
Il Tirolo Italiano, come ogni altra individuale, o morale persona, ha bisogni, e desideri particolari. È un fatto riconosciuto, e proclamato le tante volte, che esso trovasi per esempio in necessità di ritirare d'Italia il frumento, ed il grano turco, del quale estremamente egli manca; mentre in vece egli somministra in gran parte legna, seta, e vino per una notabile esportazione. Esso ne’ suoi individui abbisogna di una educazione italiana di lingua, di idee, e di abitudini nei vari rami delle sociali occorrenze per corrispondere alla famiglia italiana, che abbraccia: Egli per applicare, e perfezionare possibilmente la propria vita civile con italiani elementi ha d’uopo di una sfera italiana più estesa di quella gli è offerta nella Confederazione Germanica. Egli altresì, come credo, brama a ragione di essere congiunto con una più grande italiana famiglia per più riunirsi alle madre, a cui per natura appartiene. Ma in tutto questo il nostro Tirolo dalla Confederazione Germanica non viene, e non può venir soddisfatto così, così garantito, come congiunto col paese d’Italia. Di fatto l’italiano Tirolo può avere il più facile, il più sicuro, il più abbondante corso di grani di prima necessità solo dal nesso d’Italia; con esso solo può sfogare alla meglio la propria legna, né credo fallare giudicando, che per fino le nostre sete vellutate o in natura, in qual nesso civile troverebbero il più commune torna a conto senza discapito verso della Germania, la quale stante il bisogno, la qualità, ed in parte la vicinanza eserciterebbe in quelle le sue mercantili speculazioni. Così sul vino poco, o nulla si perderebbe; mentre ognuno sa, che, non ostante la nostra civile confratellanza germana, fin qui il nostro vino dal lato tedesco non ebbe sfogo, e l’uso della birra dai tedeschi a noi trapassato, imbarazzò e ritardò di quello lo smaltimento. Che se anche all’estremo, cosa che è ancora incerta, sulla seta, o sul vino vi fosse qualche discapito, io ritengo, che doganali combinazioni terrebbero aperta la strada ai vini, ed alle sete verso chi ne abbisogna; e rimarco, che il supposto scapito nei detti articoli sarebbe assai più parziale, e leggero, che non il danno emergente dalle granaglie nel caso opposto; perché questo esclusivamente graviterebbe sulle misere masse degli operanti, e dei poveri. Ma oltrepassiamo una volta i riflessi della domestica economia, più del giusto per lo più calcolati; eleviamoci a sentimenti più degni, e più nobili; ricordiamoci, che per vivere, come dobbiamo, ci occorre non solo cibo, e bevanda, come alle bestie, man altresì educazione, ed azion nazionale.
Questa è civile politica, o moral religiosa. Della seconda non parlo; perché qui sostegno solo la parte di politico osservatore, e mi contento dire, che ella sarebbe a preferenza promossa trovandoci noi congiunti in lega sociale col centro della Cattolicità. Solo in quanto all’altra io dico, che collo stabilirsi per noi italiani un nesso d’unione coll’Italia, quella sarebbe nella sua essenza, e nel suo sviluppo soddisfatta, e garantita in tutta la sua estensione; cosa impossibile nell’attuale nostro nesso sociale germanico.
Di fatto noi italiani posti nel naturale diritto di una italiana educazione, ad azione corrispondente per soddisfare compiutamente al nostro bisogno, e desiderio dobbiamo sortire dalla germanica confederata nostra patria, e passare a mendicar dalla austriaca Italia gl’Istituti, e la sfera italiana d’attività, che ci abbisogna. Ma questa Italia nostra madre per dono di natura, non nostra per altri patti sociali, fin qui fu a noi ospitaliera cittadina solo per accidente; perché è un accidente, che l’augusto amato Sovrano voglia tenere in sé concentrata l’autorità sul Tirolo, e sul Regno Lombardo-Veneto. Che se in forza di sovrane concessioni e di nazionali avvenimenti questa autorità venisse a separarsi per modo, che il Tirolo restasse ad uno, e l’Italia ad un altro, io tengo fermo, che noi diventando da questo istante tanti civili di Lei forestieri a poco a poco succederebbe, che i nostri interessi fisici, intellettuali, e morali s’avvierebbero al precipizio; che in quello stato solo pochi speculatori, o contrabandieri guadagnerebbero nella borsa, mentre tutti scapiterebbero nei bisogni i più nobili, e la più parte perderebbe altresì nel materiale interesse: Io penso, che in questo stato di cose, lo stesso Augusto nostro Regnante, a cui desidero la più fiorente prosperità, studiosissimo dal nostro bene farebbe sì, che noi venissimo formalmente regalati di quella patria, di quella nazionalità a cui apparteniamo, ed avessimo in una parola anche in questo una prova dell’amor, che ci porta. Oh allora sì, che i nostri interessi prosperati di molto, per qualche altra piccola, o istantanea perdita eventuale ad usura sarebbero indennizzati in ispecialmodo coll’articolo dei tabacchi: Allora sì, che molti, i quali al presente più non paventano, che la lor borsa, rivolgerebbero a noi la faccia. Pur non ostante se questa unione da noi creduta la più conveniente, non è riputata cosí da tanti altri compatriotti lo sia di pace; ma siami al meno concesso di dire, e di sostenere, che per un'italiana famiglia, italiana deve esser la patria, e che per averla non c’è altro mezzo che reclamarla a dovere.
Comunque poi sien per succedere le cose, il compimento dei nostri voti, la soddisfazione dei nostri bisogni assai dipende dalla causa che i nostri rappresentanti tratteranno per noi, e dal modo col quale la agiteranno. In ogni modo sono persuaso, che tutto verrà a noi concesso, se i mandatori della patria saranno di scelta libera davanti alle leggi, ed al fatto, se essi franchi di persuasione agiteranno la ragione della sociale famiglia dalla quale, e per la quale sono mandati; se posponendo privati parziali interessi al maggiore commune vantaggio essi coopereranno alla meglio per la santa causa, che vanno a trattare: Che se al contrario i Rappresentanti delle sezioni patriottiche non fossero altro che risultato dell’ambizione, o del raggiro, se alcun tra questi fosse mosso dall’utopia e lungi da vestire il carattere di apostolo della patria non fosse, che una larva del pubblico bene, uno schiavo dei pregiudizi, e delle passioni, egli incorrerebbe nel pubblico biasimo, sarebbe macchiato dal commun vitupero, né godrebbe a diritto dell’alto onore di cui la patria e lo Stato lo hanno rivestito; perché avrebbe operato da parricida.

Ala di Trento. 8. Maggio 1848.

Debiasi Valentino.

Allegato II B.

No 52. anno 1848
Messaggere Tirolese di Roveredo

“Libera corse una offesa, e libera deve essere la difesa”

Nell’articolo anonimo del Foglio N. 47 in questa Gazzetta scagliossi in mezzo ad una serie di inconcludenti osservazioni senza distinzione una gravissima pubblica ingiuria contro gli italiani comprovinciali del mezzodì, così che non deve tacersi da chiunque sa poterla affrontare. Conscio io quindi dei miei pensieri, e dei fatti miei prendo la penna contro l’autore dell’accusa per far discorrere così una difesa, come precorse l’offesa.
L’autore dell’accusa è ignoto della persona, è un X, sconosciuto, misterioso individuo, che con licenza della mia lingua chiamerò Innominato. Quest’Innominato, che parla dalla città provinciale, deve essere autorevol persona, che si dà il peso del Noi; e può sembrare qualche provinciale deputato, giacché invita a sé i suoi deputati colleghi. Chiunque egli sia io non mi curo, che delle ragioni; ed è per questo che scrivo, per dimostrare pubblicamente come l’Innominato sproposita, ed insolentisce.
Gli spropositi dell’Innominato s’incontrano specialmente nelle osservazioni, che emette intorno all’organismo, all’origine, ed al riparto dei voti dell’Assemblea provinciale, ed in una tal quale giaculatoria, che qua e là va proponendo.
Egli vuol dire, che la detta Assemblea è irreprensibile, come conforme al modello d’Inghilterra, e delle Provincie vicine; come pattuita, e non ribattuta dalla Costituzione; e poi perché varia col darsi più tono. Tutto questo io dico, che l’Innominato non lo asserisce con proposito, e bene; imperciocché restano contro di Lui tutte le cose, che qui soggiungo.
Primieramente ammesso anche, che gli Stati sono distinti nelle Assemblee d’Inghilterra, e delle Provincie tedesche, che sono le vicine, ne viene poi per questo, che l’Inghilterra sia vero modello di libertà, come egli dice? Che essa colle vicine provincie debba essere la nostra norma? Oppure essendo vero, che tutto il buono non è in Inghilterra, nella Stiria, nella Baviera, e così via; perché più o meno ce ne è da per tutto anche nei siti fra i detti estremi, non potevasi forse per fare cosa irreprensibile da vero sfiorare per tutto? Non c’era altresì la ragione di fare questo nella diversità delle circostanze in cui trovarsi la Provincia? Essa, che ha in sé due nazionalità diverse per tanti rapporti può abbisognare di altre cose.
Secondariamente che sia pattuita quella identica immembratura dell’Assemblea provinciale dalla Costituzione non è vero per niente; giacché nissun paragrafo della Carta costituzionale esige, che l’Assemblea provinciale compongasi di quattro Caste o Stati: anzi confrontati i paragrafi 35, 36, 54 della suddetta Carta si riconosce, che la struttura dell’Assemblea provinciale è rigettata dallo spirito della Costituzione; mentre quella compone Assemblee scompartite per quattro Caste, questa dà all’Impero Assemblee di persone scelte indipendentemente dalle dette Caste.
In terzo luogo la varietà diletta bensì, ma non è sempre utile, né necessaria; come forse può essere nel caso nostro, e meno poi qui si richiedeva per formare un'autorità più rispettabile, un più augusto Palladio. L’autorità delle Assemblee la più reverenda, la loro più veneranda maestà ed importanza sta più nelle confidenza, nella legge, nel senno, nelle ragione; di quello sia nell’abito, nelle condizione, o nel sangue.
In seguito il nostro Innominato parlando dell’origine dell’Assemblea provinciale dice espressamente, che nel comporre il regolamento un solo italiano fu consultato. Ora sia questo accaduto per motivi di agitazione, sia per urgenza di tempo, o per altra causa, basta così per poter dire, che là gli italiani non vi concorsero debitamente; basta così per dire, che quell’organismo nella sua origine è arbitrario, e dispotico a scapito degli italiani, e ciò massimamente, se il solo consultato italiano non fosse del tutto in buon concetto degli italiani.
Discorrendo poi del riparto dei voti l’Innominato, ammesse osservazioni inesatte, fatte incerte supposizioni, e spacciate idee composte a modo suo, tira la conseguenza, che gli Italiani sono in errore. In tanto qui il suo errore lo fa anche lui certamente; perché con dati di quella natura non potea trarne una conseguenza sicura. Essendo poi fuori del mio proposito il rivelare errori dall’altra parte, dovrei così passar via, se non mi scampasse occasione di reclamare riforma nei voti del clero. Di fatti a questo stato nella votazione tra noi furono messi i soli dignitari, e curati, esclusi i chierici, i preti semplici, i professori, i graduati, e così via; quasi che il solo clero dignitario, e curato avesse il monopolio della virtù, il monopolio della scienza, il monopolio della franchezza evangelica, il monopolio della apostolica libertà, l’ecclesiastico monopolio del bene, e del male. Questo è male; perché l'escludere un cittadino di classe da un dovere, e da un diritto è sempre un tratto infamante. Questo qui io lo ho osservato non per me, che se si vuole vi rinunzio in ogni forma di foro, e per sempre, ma per altri buoni, e bravi consarcerdoti.
Or passo a considerare la specie di giaculatoria dell’Innominato, qual’ella vi è, di dolori, di lamenti, e di ammonizioni.
Se egli si duole per una separazione eventuale di una secolare nostra unità con quelli che la provincia manda a difendere i suoi confini, egli falla di distinzione fra unità, ed unità; e se egli si duole, che ciò si faccia in tempo tale, egli falla per indiscrezione. La nostra unità di Provincia in Tirolo è secolare in quanto alle statistica, in quanto al nesso colla Confederazione germanica, in quanto alle Maestà degli Imperatori Romani-Germanici, e Austriaci; ma non è secolare in quanto all’amministrazione, e al governo. Ognuno sa, che non occorrono secoli per ritrovare, che nel Trentino regnavano, e governavano i Principi-Vescovi, e nei Vicariati i Castelbarco; ed ognun sa che anche da mezzo secolo in qua ebbe il Tirolo italiano una sorte separata da quella del Tirolo tedesco. Che poi si pretenda, che noi siamo inerti, o rinunciamo ai nostri diritti, e ai benefizi della legge, mentre i tedeschi vengono a difendere i loro confini è una indiscrezione, una ingiustizia, un sacrilegio patriottico.
Fu riso, poiché quelli che dissero; adesso noi non abbiam tempo di passare [sic! richtig 'pensare'] all’Assemblea provinciale, ebbero tempo da concertare il passo legale per avere una separazione. Il riso a dir vero mi sembra del tutto ridicolo, perché non ha causa.
Per esservi bisognerebbe provare, che chi non ha tempo da effettuare un semplice fatto, non ne dovesse avere neanche per un fatto composto, ed invillupatissimo, come è il caso nostro. Quando l’Innominato con lamento sarcastico prova, che col presente nesso la nazionalità italiana acquistò a danno della tedesca, adducendo che l’italiana lingua si dilatò, e la tedesca si restrinse, egli crede e vuol provare; ma non prova niente. Egli confonde l’idea di lingua con quella di nazionalità contro lo stabilito della Carta Costituzionale §4: Egli vorrebbe far credere, che col diffondersi ad altri una lingua, guadagna la lingua stessa, e la nazionalità; che la diffusione di nostra lingua avvenne per nostro bene, e pel nesso di unità provinciale. Ma tutto questo è falso; perché la nostra lingua si guadagna amici da sé, e se gli ha guadagnati con danno di se stessa, di interessi, e di nazionalità.
Dove poi l’Innominato ci ammonisce di non illuderci, e di stare al vecchio, egli ci suppone in un errore essenziale dal quale cerca cavarci colle ragioni eterne di confini, di prodotti, di industria, e di commercio. Suppone il falso, e ci mette avanti motivi, che non ci possono far preferire l’unione alla disunione. I nostri motivi, le ragioni dei nostri passi, non sono illusorie; sono reali, sono ben ponderate, e come io ho già detto altra volta (vedi articolo N.38. Allegato A), sono assai più di quei dati, che l’Innominato ci mette in vista.
Per la qual cagione si vede, che l’Innominato sbagliò per dritto, e per storto; sbagliò con imprudenza quando disse: Voi, o Italiani, seguiste l’arbitrio, mentre l’altra parte ha per sé la legge, e il diritto: Voi volete mascherare la vostra ribellione (egli lo disse col fatto, che è più della parola) ad ogni costo, e ad onta di tutti i diritti.
Potea mai pensarsi, che un grand'uomo, come egli sembra, arrivasse a parlare così senza distinzione fra persona, e persona?
Senza ragioni? E questo nell’atto che scriveva per conciliare? Potea mai darsi, che i buoni italiani, consci di sé, e dei lor fatti tacessero a tanta infamia? No, non potea; perché all’infamia nissun onesto si abitua, od è indifferente. Un buon italiano, che ama, ed obbedisce il sovrano, che approfitta di auguste grazie per esternare regolarmente i suoi voti, per appoggiare i suoi diritti, per provvedere al bene della sua nazionalità garantita non è ribelle, ma è fedelissimo suddito.
Egli, che di nazione è italiano, sente i doveri di sua nazionalità; e cerca di soddisfarli regolarmente. Chi è straniero e tali sentimenti è un mostro di sua nazione; come è ribelle chi per essi sacrifica l’ordine. L’ordine combinato coi nazionali garantiti diritti, è l’unica via delle pubblica pace, e prosperità; l’ordine indipendente dalla nazionalità sarà sempre la fonte di terribili ravvolgimenti. La storia vicina parla chiaro abbastanza: la mezza Luna dovette spezzar la spada a favore della nazionalità della Grecia; la nazionalità non fu spenta dalle turme russo-siberiche nella Polonia; fu per tempo sopita, non tolta, dal federale grande scomparto nella Germania; trionfò sempre nelle Francia di tutte le combinazioni dei regnati; e in Italia? In Italia al presente per essa scorrono torrenti di sangue umano, che la lavano, e la cruentano. Questa nazionalità, che è un idea, qualunque ella sia, è grandiosissima; sempre durevole colle generazioni, che la propagano; incatenata, non vinta, ella sempre risorgerà; perché non tocca dal ferro, ed è invincibile: cadranno le moltitudini, scannerannosi i popoli; ed Ella sempre sarà. Grande lezione per chi consiglia, grande lezione per che obbedisce, grande lezione per chi comanda. Con questa lezione io ho voluto finire il mio articolo; acciocché anche voi, Signor Innominato, coll’autorità che vi circonda fate sì, che si acceleri la pace dei poveri sudditi, e del Monarca tradito, il trionfo dei regnanti, e delle nazioni.

Ala di Trento ai 13 Giugno 1848

Dottor Debiasi

Allegato III. C.

Supplemento al N. 127 del Messaggero Tirolese dei 23. dicembre 1848

Polemica
Eccitati replicatamente dal lodevole Comitato Municipale di Trento pubblichiamo il seguente Articolo a pubblico disinganno contro l’organo del messaggere Tirolese Tedesco denigratore patriottico.

L’intention de ne jamais tromper, nous expose souvent à être trompés.
Rochefoucauld, Maxime n. 118

Vecchia come il diavolo, sempre nuova come la peste, negli uomini di mala fede è l’arte di ingannare i galant’uomini col riprodurre cose svisate a danno ora del privato, or del pubblico, e ora della nazione col favor del mistero. Quest’arte però, benché infiniforme, macchinata all’oscuro, ed intrecciata nell’ombra viene talvolta attivata nel giorno, che colla luce della verità, come Diogene colla lanterna, la insegue, la cerca, e la coglie per addittarla qual mostro ella si è, sconcio, stomacchevole, indegno, pestilenziale, che colla sua piva soffia il veleno nel germe di ogni bell’opera.
Due fatti recenti, imprudentemente dissoterrati da altri, dannoci saggio novello degli inganni degli inimici di patria, e degli sforzi de’ nostri malevoli, che come altre tanti Filistei del Testamento Novello non cessan d’imprimere se potessero, le vecchie punte, e stringere le ferree catene a torno di noi, che pur non siamo, non vogliamo, non sogniamo di essere altre tanti Sansoni.
Questi fatti, che io a patrio disinganno con amarezza pari al provato sdegno ricordo, avvennero contro d’un Comitato patrio municipale; l’uno in Ala italiana, l’altro nell’organo del Messaggere Tirolese tedesco.

Avvenuto nel patrio Comitato di Ala.
Sul principiare del mese spirante in Ala mia patria natale nelle stanze col consenso, e coll’intervento dei principali del Magistrato adunossi gran quantità dei più leali cittadini di ogni classe per fare le iniziative alla istituzione di un Comitato patriottico. L’istituzione autorizzavasi dalla promessa sovrana d’associazione, dall’esempio delle vicine anziane città sorelle, dall’approvazione, e dal voto dei cittadini dabbene, e dal bisogno là stringentissimo d’un istituzione sui più vitali cittadini interessi, d’un interprete idoneo di tanti voti, e di tante bisogna. Le iniziative furono felicissime a segno, che il progetto ebbe in breve la vita con un Comitato i di cui membri rispettabilissimi erano preseduti dal Podestà. Quel Comitato con una vita di tanto augurio si avviò con tanta unità, drittura ed energia, che fan meraviglia.
Quando per mene diaboliche nella sessione del giorno decimo terzo del mese che va, iniquamente, e per mano di una turma insolente quel saluberrimo patrio istituto ebbe nel seno inestata la morte. Quella sessione era priva del Podestà presidente, e si impiegava nella lettura del suo organico regolamento. Tra tanto una squadra della infima plebe di fronte alla sede, e abitazione giudiziale, sotto del luogo della sessione, ebbe l’agio di raccogliersi, e fra le fischia, e le grida: “abbasso il Comitato, viva il Magistrato” colà si andava agitando senza di più cimentare.
A calmare l’agitazione concorse l’opera del Signor Giudice, ma questa non sostenuta da alcuna cooperazione, impotente all’affetto patteggiò, dirò così, di far scogliere quel Comitato. Indi portatosi il giudice al luogo della sessione, ed esposto il caso che vi era di fuori, si meraviglia di trovare chi là siedeva tranquilli, si protesta insufficiente a difenderli, e gli rimette a loro stessi. Questi che in diritto, ed in pace erano raccolti a pubblico bene concertano una deliberazione: Ma in tanto una mano di malfattori dei più notorii si stacca dagli altri, e da padrona brutale va con minaccia ad intimare a quel Comitato “sortano i Giacobini, fuori le chieriche, via i forestieri, su il magistrato vecchio”. L'irruzione è violenta, la offesa pubblica, e immeritata, il delitto parlante; Eppure quel Comitato con un miracolo di prudenza si sperse senza parola. Così fu sciolta quella sessione; scioglimento forse troppo increscevole ai malvagi, che non pescarono di torbido; scioglimento di poi incoronato da quei tristi campioni con grida, fracassi, avvinazzamenti, ed insulti impuniti.
Dopo due giorni fu tenuta sessione sopra il da farsi: In essa, chi è saldo nei suoi diritti, domanda, che informati i due comitati anziani fratelli di Roveredo, e di Trento l’accusa si passi all’autorità competente; chi zelante d’amor di patria ammette un conciliatorio ripiego; chi di paura tremante vuol che il fatto si seppelisca. Così ivi successe, ed il Comitato si sciolse lasciando i nomi, e gli atti a quel magistrato, come una prova non peritura, che l’ottimo a quello era congiunto.

Avvenuto nel Comitato di Ala secondo l’organo del Messaggere Tirolese tedesco.
L’intenzione annessa alla morte del Comitato di Ala fu tradita, la sepoltura fu aperta, ed il becchino, che trasse fuori con chiave falsa il cadavere fu il Messaggere tirolese tedesco. Egli nel N. 161 strombetta così:
“Secondo notizia privata la unione dei cittadini di Ala, così detta Comitato di sicurezza, che s’era formata sul modello di Trento e di Roveredo ai quattordici di questo mese sarebbe stata sciolta dagli abitanti di campagna con bastonate dei membri, mentre, come quelli dicevano, essi non vogliono saper niente degli sconvolgimenti degli italiani, sono contenti della loro autorità, e non desiderano altri signori”.

Osservazioni in Confronto.
Chiunque ha senso commune già a primo colpo rileva gli spropositi d’imprudenza, di critica, di verità dell’organo del Messaggere tirolese tedesco. Non di meno io commento menzognere, e calunniatrici specialmente tre circostanze:
1. L’organo del Messaggere Tirolese tedesco mentisce, e calunnia notificando, che il Comitato di Ala era Comitato di sicurezza. Quel Comitato era patrio municipale, che titolavasi così volendo adoprarsi nel prevenire gli inganni, e nel discutere i bisogni locali di patria, essendosi al Municipio ordinato per ben del commune. Che se il Messaggere gli dà quel titolo per alludere ad altri odiosi, ostili, armati Comitati di luoghi lontani io protesto la cosa come sacrilegio politico della mia patria: Questa ebbe il suo Comitato; ma non aveva, ne aver mai si sognava armi od armati; lo ebbe essa, ma non fu stupida, od arrogante cotanto da assumere un titolo così fuor di proposito, essa che col suo Comitato metteva tutta la sua sicurezza nella volontà, e nella forza del suo Sovrano.
2. L’organo del Messaggere Tirolese tedesco mentisce, e calunnia, che gli abitanti della campagna furono gli scioglitori di quel comitato con bastonate. Ala nella campagna ha pochissimi abitanti, che nella massa come tutti gli altri cittadini dabbene, ad onta degli emissari non presero parte attiva in quel motto. Il motto fu maneggiato da un cinquantina di gente da bosco, e da campo, screditate persone, nella condotta, e nel carattere viziosamente macchiate; questa turba con minaccie, e non bastonate ebbe il voluto scioglimento.
3. L’organo del Messaggere Tirolese tedesco mentisce, e calunnia col riferire, che gli abitanti della campagna di Ala non vogliono saper niente delle italiane mutazioni, sono contenti delle loro autorità, e non bramano altri signori. Questi abitanti con tutta la massa dei cittadini dabbene di quel commune in questo riguardo non parlano così. Dichiarati mai sempre per la loro Dinastia regnante nel resto emisero sentimenti diversi: essi non furono, né sono indifferenti, o contrari alle mutazioni italiane, ma furono e sono afflitti profondamente per natural simpatia dalle disgrazie de' loro fratelli: Essi come tutti gli altri vicini benedirono sempre il momento in cui poterono reclamare interiori riforme; essi liberi nella voce dichiararono nel loro Municipio abbisognare radicali riforme, ed attendere un amore patriottico meno velato, un più deciso privato disinteresse. Tale è la verità delle cose, e così parla, chi non vuol ingannare.
Ora giudichi ognuno se le idee i pensieri, i sentimenti, gli affetti della mia terra natale non sieno conformi a quelli dei circostanti fratelli, benché con questi non possano comparire, strangolati trovandosi da un oscurantismo a me noto: ora chi ha senno decida, se alla mia patria si può intaccare quella mostruosità nazionale, che il Messaggere Tirolese tedesco vorrebbe indossarle. Questo conato fu quello, che mi fece sentire un indeclinabile dovere di reclamare l’onore della disgraziata mia patria, d’impedire che un fatto dell’oscurantista brigante venisse posto dagli inimici sulla tela, che intessono essi contro del Tirolo italiano. Questo dovere è compiuto; ma ad intero coronamento dell’opera si permetta un'altra effusione al mio cuore.
Io che vidi in Ala la prima luce da genitori dei cittadini i più antichi, che ebbi in Ala la educazione primiera, che tengo in Ala conoscenti, amici, fratelli, una massa di compatriotti, io in quella massa riconosco me stesso con italiano pensare, con italiano sentire, con italiano volere, con italiano potere, con una persona italiana, che reclama separazione, separazione, intera separazione, incondizionata e ad ogni costo, salvi l’ordine e la dinastia, dai Tirolesi tedeschi, che nei riguardi parlamentari ed amministrativi abbracciare da noi si vorrebbero come vicini ed amici, non come soci, e fratelli: separazione intera, perché essa sola può darci la vita nostra; incondizionata, perché una condizione qualunque strangolerebbe il nostro vitale sviluppo; ad ogni costo, perché la stessa conculcazione delle nostre domande sarebbe poi il più eloquente reclamo delle ragioni a favor nostro.
Dunque anche Ala è una sorella consenziente colle sue anziane vicine; dunque partecipa anche essa, come ella può, dei voti communi, delle commune bisogna.

Trento nel giorno 29 novembre 1848

Il Prof. Dr. Debiasi

Allegato E.

N. 10 anno 1849
Messaggere Tirolese di Roverdo3

« Il y a de faussetés, qui représentent si bien la vérité, que ce serait mal juger, que de ne s’y pas laisser tromper»
De la Rochefoucauld, Maxime 290.

Non bisogna giudicare senza ascoltare le parti, ne si deve lasciarsi seddurre da fatti, che hanno delle verità la sola apparenza.
Per ciò nella incorsa faccenda trovo ben fatto osservare:
Di quanto ho detto a riguardo del municipio di Ala sono sempre disposto a darne legali prove.

Trento 15. Gennaio 1849.

Prof. Dr. Debiasi Valentino