Der Priester Antonio Borovich beschwert sich beim Erzbischof von Bologna und ehemaligen Nuntius in Wien, Michele Viale-Prelà, über die schlechte und würdelose Behandlung seiner Person und bittet um den Beistand des Nuntius. Er wurde von seinem Kooperator Giorgio Zubranich aus unerfindlichen Gründen angezeigt und daraufhin von der Polizei verhaftet. Er vermutet dahinter einen Racheakt des Priesters Zubranich gegen seine Person. Er beschwert sich dabei nicht nur über die Tatsache, dass er verhaftet worden ist, sondern besonders darüber, wie diese erfolgt ist und dass er – in Ketten gelegt – dem Spott der Bevölkerung ausgesetzt worden war. In dieser Behandlung sieht er eine klare Verletzung des Konkordats von 1855.
Italienisch.
Vgl. dazu auch den Brief: Giuseppe Godeassi an Michele Viale-Prelà. Zara, 22. Februar 1856 und die Beilagen zu diesem Brief. Unter Umständen gehörte der vorliegende Brief ursprünglich zu diesem Konvolut.
Eminenza Reverendissima!
Per quanto oppresso da disavventure io divotissimo sottofirmato, tuttavia, pieno
di fiducia nelle Benignità e Giustizia di Vostra Eminenza, azzardo ad Essa
presentarmi a mezzo di questo umilissimo scritto, e reclamare contro l’ignominia
e obbrobrio con cui, nel prossimo passato Decembre, fu esposto alla pubblica
derisione il carattere sacerdotale che mi rinveste.
Strettissimamente unito
ad alcune che godono la fama di violenti e sanguinarie famiglie il Reverendo Pro
Parroco Don Giorgo Zubranich da
quattordici mesi in Novaglia, delle quali preso il
patrocinio con mio grave pregiudizio, sopraggiunsero perciò tra me e lui delle
scissure, rimesse pegli opportuni rilievi alla competente Autorità; e valendosi
di sua Parrochiale carica, all’impresa si accinse di farmi gravemente opprimere
in un alla pacifica mia famiglia.
Nell’esercizio quindi di sua personale
vendetta, malignò una espressione di due contraddicenti individui, uno dei
quali, come dicesi, sordo, pressoché imbecille l’altro, e mi denunziò a questa
Autorità Distrettuale di pericolose minaccie; e perciò, dopo fattami praticare
d’apposita Commissione la perquisizione domiciliare per armi senza avermene
rinvenute di niuna sorta, fu li 10. Decembre testé decorso quando, comparsi
nella mia abitazione, l’imperial regia Gendarmeria cogli Attuario Pretorile Tripalo e Scrittore Treu, mi arrestarono; e fattomi
tosto crudelmente incatenare, tradurmi fece l’Attuario con tutta pubblicità in
altra casa: dove, incatenato senz’aver potuto muovermi, e custodito dalla
Gendarmeria e Ronda Villica, passai quella dolorosissima notte reclamando
inutilmente di essere sentito in esame per poter addurre le mie
giustificazioni.
Verso le 10. della mattina susseguente, fattomi esporre
incatenato alla derisione del pubblico accorso in folla, fui dagli Attuario stesso, Scrittore, Gendarmeria e Ronda armata
scortato a Pago [Pag]; dove, pubblicatosi mio arresto
prima che fosse stato eseguito, e precedutomi l’Attuario d’un quarto di ora, fermossi per attendermi
all’ingresso della città; e fingendo di allontanare colle grida la moltitudine
accorsavi, vie più convocavala per vedere lo spettacolo in me arrestato; fatto
questo che non abbisogna di prova, per essere pubblico.
Assunto poi da
questo imperial regio Giudizio Inquirente, e fattemi ostensibili le
semplicemente supposte pericolose minaccie insussistenti, addussi in prova di
mia giustificazione tre coscienziosi testimoni, assunti i quali, fu l’ottavo
giorno sciolto mio arresto stato eseguito con tanto strepito ed ignominia, e fui
posto in libertà col dovere di non allontanarmi da questo Capoluogo senza che io
sappia per quali viste.
Premessa questa narrazione, mi limito unicamente al
modo con cui l’arresto mio venne eseguito; modo col quale copertomisi di
obbrobrio, fu maltrattato, sprezzato, vilipeso, schernito e bersagliato in
pubblico con gravissimo scandalo il carattere che mi rinveste, e ciò in aperta
onta e dilegio al disposto della Veneratissima Convenzione data in Vienna il 19.
Agosto del prossimo passato anno 1855, fra Sua Santità
Pio IX Sommo Pontefice, e Sua Maestà Imperial Regia Apostolica
Francesco Giuseppe I Imperatore di
Austria. Convenzione firmata da Vostra Eminenza qual
Plenipotenziario di Sua Santità e della Santa Sede presso la prefata Apostolica
Maestà, da Cui la ratificazione venne soscritta di Proprio Pugno in Ischl il 23. Settembre anno testé scaduto, e
munita dell'Imperial Regio Sigillo, colla promessa della Parola Sovrana per Sé,
e Successori Suoi, di fare fedelmente eseguire tutte le cose che nei veduti,
considerati, ed approvati articoli di detto Concordato contengonsi, né di
permettere giammai, per qual siasi ragione che ad essi sia contravvenuto;
Convenzione di Cui l’Articolo XIV impone espressamente che: “nell’arrestare e
custodire il reo, dovranno adoprarsi quei modi, che la riverenza dello stato
clericale esige.”
Adunque, se persino cogli Ecclesiastici dichiarati che
fossero rei devono adoprarsi questi modi nel custodirli, molto più avrebbero
dovuto adoprarsi nel caso di mio arresto e traduzione a Pago per il fatto che la denunzia a carico mio prodotta partiva
dall’eccesso di privata passione, abbastanza noto a questa rispettiva Autorità,
e perciò spinta al grado pure di eccesso che facilmente poteva discernersi da un
fatto reale; e di cui neppure mi si fecero ostensibili le avversarie
deposizioni.
Ma no, Eminenza; poiché sorpassata con deliberata volontà ed
ommessa ogni cosa e fatto a mia giustificazione militanti, si violò dal
personale dell’imperial regia Pretura di Pago nel caso mio la Preveneratissima
Convenzione, al precitato Articolo della Quale contravvenendo apertamente il
personale medesimo, si servì di pretesto di mie passate disavventure, e meco
procedè in modo sopra dimostrato mosso dalla personal passione per alcuni miei
passi coi quali io reclamava Giustizia alle venerate Autorità superiori contro
alcune misure di rigore che dall’imperial regio Pretore pur di Pago voleano meco
addottarsi senza inquisizione; e ciò dopo avermi trattato come fossi il più vile
bifolco per salvare in faccia alla Giustizia punitiva un colpevole, per cui
interponevasi ad ottenergli perdono, come potrebbe desumersi dal Reverendo
Don Matteo Volarich attualmente a
Ponte di Veglia [Krk].
Nell’esporre adunque,
divotissimo, il caso a Vostra Eminenza, quale Pronunzio di Sua Santità, e della
Santa Sede, presso cotesta Imperial Regia Corte, della espressa Contravvenzione
alla sempre veneratissima Convenzione sopraccitata fra le due Adorate Supreme
Autorità, commessa dal personale dell’imperial regia Pretora di Pago, reclamo
sommessamente Giustizia per l’oltraggiato carattere di cui sono rinvestito.
Don Antonio Borovich
Pago li 3. Gennaio 1856